Svizzera e Taiwan sono piccole nazioni prossime ad altre più grandi. Hanno una fiorente economia che le rende più ricche dei paesi confinanti. 

Entrambe sono democrazie compiute, più semplice in Europa e poco più di un’anomalia in Asia.

Della democrazia amano lo strumento dei referendum perché i cittadini possano scegliere, ma hanno anche formidabili eserciti a difesa della propria autonomia. Parlano lingue ed hanno una cultura che trova la propria alma mater altrove e la loro storia gli ha consentito di fare di alte montagne ed uno stretto di mare un limite invalicabile alle pretese altrui. 

Lugano era di cultura italiana quanto Como fino a Mussolini, che volare fare del Canton Ticino parte del nord Italia, così la costrinse a divenire un poco più svizzera e guardare oltre il Gottardo e così Taipei, perché l’umiliazione di Hong Kong sotto il tacco di Xi Jinping è davanti al mondo, ribadendo che non ci sono vie per rendere mansueto il partito comunista cinese e l’idea dei due sistemi per un paese era una menzogna che già denunciava Chris Patton, ultimo governatore di sua maestà Elisabetta.

Tanto uniche da essere simili, Svizzera e Taiwan intrecciano rapporti prudenti e scandalosi.

Berna fu tra i primi paesi al mondo nel 1950 a riconoscere il governo comunista di Pechino piuttosto che quello legittimo, che si trovava spiaggiato e sconfitto a Taiwan. Oggi Svizzera a Taiwan commerciano per oltre tre miliardi di franchi anno, ed hanno relazioni tra loro per un comune vantaggio. L’economia di Taipei è la quinta dell’Asia e la prima al mondo per i semiconduttori e la Svizzera è centro finanziario e di servizi tra i maggiori al mondo.

La scelta di chi è vaso di coccio è dissimulare ciò che non si può dire e poi ci sono i rapporti bilaterali. Berna sceglie accordi riservati per commerci e doppie tassazioni, non effettua visite ufficiali ma incoraggia la cooperazione in virtù di un mandato costituzionale che promuove la democrazia, la strategia sterilizza le frasi d’ordinanza dell’ambasciatore cinese a Berna su un’unica Cina. 

Torquato Accetto poeta e filosofo del seicento napoletano, rimane un minore di talento, la cui opera “Della dissimulazione onesta” rimane un piccolo gioiello.

Accetto afferma “Basterà dunque il discorrer della dissimulazione, il modo che sia appresa nel suo sincero significato, non essendo altro il dissimulare, che un velo composto di tenebre oneste e di rispetti violenti: da che non si forma il falso, ma si dà qualche riposo al vero, per dimostrarlo a tempo”, lezione utile ai tempi che giustifica il giusto tacere in attesa di tempi migliori, arte lecita e difensiva divenuta ai suoi occhi virtù.

Accetto era stato dimenticato per secoli fino a quando Benedetto Croce lo riscoprì nel 1928 durante il fascismo, ça va sans dire, dandolo a nuove stampe.

4 settembre

Filippo Lippi, Allegoria della simulazione

 

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