Ho recentemente acquistato il classico “Caccia in Indocina”, edito nel 1935 da Omero Marangoni, Milano. Dalla prima edizione, un centinaio di anni fa, l’opera ha avuto un certo successo, si hanno edizioni in lingua francese, tedesca, italiana, norvegese e ristampe in lingua inglese fino a pochi anni fa. 

L’autore Lucien Roussel era un francese militare di carriera in stanza nell’Indocina francese per quasi vent’anni tra la fine dell’ottocento ed i primi anni del nuovo secolo. 

Roussel racconta le vicende di guerra – la sua professione – e le battute di caccia – il suo passatempo – con la leggerezza di un uomo d’altri tempi, quasi che fossero cose molto simili, grandi avventure attraverso risaie e giungle tra piogge monsoniche e famelici insetti.

Sullo sfondo la perenne guerra con il regno del Siam per la definizione di certi confini che si protrasse per anni, che vide la propria conclusione con le cannoniere francesi prossime a bombardare Bangkok dal fiume Chao Phraya. Le concessioni dei siamesi gli permisero di non perdere la propria indipendenza, unici in quel quarto di mondo. Ricordo, che pochi anni dopo il regno del Siam invierà un corpo di spedizione sulla Marna, per pagare un tributo di sangue alla propria indipendenza.

Ma Roussel più che alle faccende guerresche ama raccontare le battute di caccia ad ogni sorta di animale esotico alimentando il fascino del mistero e del pericolo. In una circostanza è un commilitone ad essere sbranato da una tigre, “Si chiamava Michalou ed era un individuo tarchiato che pesava almeno un’ottantina di chili. Una notte, mentre egli stava dormendo col braccio appoggiato sul petto d’un compagno anch’esso immerso nel sonno, la terribile zampata della belva gli aveva spezzato il cranio. L’indomani mattina, il suo corpo venne trovato a circa trecento metri più lontano, completamente nudo, col ventre e le cosce divorate: I suoi indumenti erano rimasti impigliati a dei rami e a delle spine lungo il tragitto compiuto dalla tigre”.

Tornato alla vita civile a Saigon Roussel fa delle battute di caccia la passione della vita. Le piastre indocinesi aiutano Roussel a far dire ai locali dove trovare prede sempre nuove dalle pianure agli altipiani: anatre, pavoni, tori selvaggi e bufali, leopardi e tigri, rinoceronti asiatici indocinesi (ora estinti). Il francese racconta dettagliatamente la battuta di caccia all’elefante che si conclude con l’uccisione di due elefantesse ed in giovane maschio, lamentandosi delle corte zanne e dell’avorio “zanne lunghe 40 centimetri”, ma mostrandosi soddisfatto di poter tagliare gli otto piedi dei pachidermi per “poter preparare con essi dei vasi da fiori molto ricercati”. 

Cio’ che Roussel non osserva è che i locali non sembrano dare informazioni su dove si trovano gli elefanti ed anzi lo portano altrove, dirà di loro che sono “non educati” alla caccia, ma la verità è un’altra. L’elefante è nell’Indocina buddista animale sacro ma anche capace di aiutare gli uomini nei lavori più duri, ucciderlo per un vezzo un crimine spaventoso.

La caccia in Indocina è stata pratica comune gli occidentali fino agli anni sessanta era garantita da licenze e vi erano opuscoli di viaggio, che definivano l’Indocina come   “… il paradiso dei cacciatori con la possibilità di abbattere elefanti, tigri, leopardi, orsi, bufali selvatici, cervi e fagiani”. Una “Licenza A” in quegli anni costava 4.800 piastre vietnamite pari a $ 68 del tempo che corrispondono a meno di 600 $ al valore attuale, che avrebbe permesso al cacciatore di abbattere un elefante, un toro, quattro orsi, sei cervi, due buoi, due gaur e due bufali.  

Roussel il cacciatore e quelli che lo seguirono non compresero l’Indocina sacra e contadina, che prendeva il necessario per vivere in un rapporto di mutuo rispetto con la natura, un’attitudine che gli europei pagheranno a caro prezzo negli anni a venire.

20 settembre

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