Un amico mi ha chiesto di spiegare chi comanda ad Hong Kong e di farlo in un paio di cartelle, gli ho promesso di farlo in modo tanto chiaro da non dover poi farmi ulteriori domande.

 

Hong Kong è una regione amministrativa speciale controllata dalla Repubblica popolare cinese e gode di una propria autonomia limitata, conserva la propria valuta, il proprio passaporto, determina i criteri dell’immigrazione e un sistema giuridico di common law formalmente autonomo, ma la catena di comando riconduce direttamente a Pechino.

 

Il governo di Pechino nomina un amministratore delegato (?!) scelto da un comitato elettorale di Hong Kong determinato da un consiglio i cui gran parte dei 1194 membri, la cui nomina detiene l’inciampo. Il consiglio di Hong Kong ha membri “non-umani”, composto da banche, assicurazioni, imprese, esportatori, categorie professionali come quelle dei medici tradizionali, e poi membri umani esito di elezioni dove i candidati devo essere approvati da una commissione.

 

Come amministratore delegato (CEO) intendiamo il dirigente di più alto rango in un’azienda, le cui responsabilità principali includono prendere decisioni aziendali importanti, gestire le operazioni e le risorse complessive di un’azienda, fungendo da punto di comunicazione principale tra il consiglio di amministrazione (il board) e la proprietà. L’attuale CEO di Pechino, Carrie Lam, un’ex attivista per i diritti civili, il cui marito ed i figli mantengono il passaporto britannico, ora al servizio del governo di Pechino per un stipendio annuale di 5,21 milioni di HK $, poco meno di 600.000 euro rendendola una dei leader politici più pagati al mondo (Trump guadagna come Presidente circa 400.000 dollari, al cambio attuale circa 340.000 euro).

 

Sorprendente la scelta di Pechino ricaduta su Carrie Lam, che però corrisponde all’espressione cinese: “Educare il pollo per ammaestrare le galline”; Giampaolo Visetti corrispondente della Repubblica, nel suo libro “Cinesi” edito nel 2012, riportava un’intervista a James To Kun –Sun, un professore di diritto di Hong Kong: “E’ un capolavoro, il pacchetto si presenta democratico, ma il regalo è un autoritarismo in cui il consiglio di amministrazione sostituisce il partito. La Cina non può scendere sotto i due terzi dei posti.”

 

Tema scottante quello di queste nuove democrazie, svincolate dagli aspetti formali del voto e sostanziali della rappresentanza, che si innervano nella cronaca dell’emergenza infinita di questa giorni e sul quale ritorneremo in altra sede, per il momento ricordiamo il profetico pensiero di Murray MacLehose, il governatore britannico di Hong Kong dal 1971 al 1982 un autentico gigante, colui che ha supervisionato il suo sviluppo da porto commerciale in una città internazionale e uno dei principali centri finanziari e commerciali mondiali. MacLehose era convinto che la Cina alla fine avrebbe rivendicato Hong Kong tout court e che i tentativi di discutere la continuazione dell’amministrazione britannica dopo il 1997 erano inutili. 

 

 

https://www.telegraph.co.uk/news/obituaries/1341601/Lord-MacLehose-of-Beoch.html

 

https://www.csis.org/analysis/hong-kongs-special-status-whats-happening-and-whats-next

 

https://hongkongfp.com/2020/04/09/overpaid-and-tone-deaf-carrie-lams-pay-cut-stunt-says-it-all/

 

http://news.bbc.co.uk/2/hi/asia-pacific/772462.stm

 

11 agosto 20

 

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