La storia della rana e dello scorpione è vecchia quanto Esopo ma ancora non finisce di stupirci. Uno scorpione chiede ad una rana di portarlo dall’altra parte del fiume, la rana è preoccupata dell’aculeo, ma si convince che se lo scorpione dovesse utilizzarlo anche lui morirebbe annegato. Nell’attraversamento del fiume lo scorpione attacca la rana, la quale chiede il perché di un’azione che li avrebbe portati entrambi alla morte, lo scorpione ammette che quella era la sua natura e tanto basta.
La Cina in questi ultimi cinquant’anni ha accarezzato l’idea di un’apertura democratica del paese, solo non ci siamo compresi sui termini. I congressi del partito comunista cinese hanno avuto una componente che proponeva l’apertura ad una nuova democrazia fino dal 1978, quando al Plenum del Partito Comunista Cinese si parlò di “modernizzazione” ed ancora la breve stagione del 13 Congresso del 1987, che anticipò la tragedia di Piazza Tienanmen, quando la società civile chiedeva maggiore partecipazione.

Il meccanismo della partecipazione è legato a principi di condivisione di scelte economiche e sociali, quando l’imposizione fiscale è cresciuta, oggi vicino al 30%, per i maggiori costi dell’apparato statale nel processo di modernizzazione dello stato, i cittadini cinesi ha chiesto maggiore presenza ai processi di allocazione delle risorse “no taxation without representation”. In occidente si è ritenuto che il processo democratico fosse inevitabile per effetto del traino dell’economia di mercato e dell’apertura al commercio del WTO del 1999, ma non si erano fatto i conti con un sistema economico opaco che aveva bisogno della complicità dello stato per aggirare le buone pratiche del commercio internazionale e le norme sui marchi e brevetti, con buona pace di Immanuel Kant e della pace mercantile ed universale.
Il governo della Cina, come riporta Loretta Napoleoni in Maonomics, era già composto da oltre mezzo milione di persone venti anni fa, di cui il 95% appartiene al partito comunista che è elemento certo, ma non esclusivo, per il raggiungimento di posizioni di potere. La gestione del partito comunista non viene percepita come autoritaria ma condivisa, guida al miglioramento del paese in ambito sociale ed economico alla stregua delle antiche dinastie imperiali, la cui caduta avveniva solo in occasione di collassi militari ed economici. In Cina la democrazia è “la partecipazione” ed accesso alle carriere attraverso il merito, in conformità al pensiero confuciano, ma non al lignaggio, alla stessa stregua delle ferree selezioni per entrare nell’amministrazione imperiale. Se in occidente il legame politica – economia risulta ben saldo, per i cinesi questo familiarità produce corruzione e non lo considera ammissibile, almeno a parole perché già nel 2009 la rivista cinese Time Weekly riportava che di primi 3220 cittadini cinesi con un patrimonio di 100 milioni di yuan, all’epoca 12 milioni di euro, erano per il 91% figli di alti funzionari del partito comunista.

I diritti civili non riguardano i singoli individui come in occidente, ma ad una nuova categoria extra personale, che promuove lo sviluppo economico e sociale del paese che il dissenziente paga con l’esclusione sociale ed economica, attraverso il noto sistema della patente a punti, che da noi vale per la guida, ma da loro per avere un lavoro o ottenere un mutuo.
Solo attraverso questa lente possiamo comprendere l’insensato “bullismo” cinese, nel gettarci in faccia l’immoralità della nostra economia fondata sulla finanza ed i sui scandali, il mancato rispetto dei diritti di auto determinazione dei popoli, lo sfruttamento post coloniale di paesi periferici ed il mancato rispetto dei diritti umani tanto sbandierati.

Le nostre categorie non funzionano e non ci intendiamo sulle parole, i cinesi non sono e non saranno mai come noi e poco gliene importa, siamo di una natura diversa e non è consigliabile attraversare il fiume insieme, al costo di morirci come rana e scorpione.

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