“L’Imam vorrebbe parlarti”, mi dice Vittorio, un mediatore culturale della provincia di Milano, “l’Iman della nostra cittadina ha letto il tuo articolo sulla condizione dei fratelli musulmani in Myanmar e Malesia e vorrebbe incontrarti”. 

Scrivo per pochi lettori, i venticinque amici di cui parla Alessandro Manzoni e la telefonata mi sorprende un poco.

“L’Imam è convinto che siano state scritte inesattezze e vi siano degli errori”, non è difficile scoprire che Vittorio abbia fatto leggere il pezzo al chierico per avere chiarimenti, il solito difetto di tante anime pie d’Occidente, che vogliono risposte alle evidenze.

Incontrare un Imam il giorno di lunedì di Pasqua mi pare un’opportunità imperdibile, non ne ho mai incontrato uno e mi chiedo cosa voglia dirmi, e poi come debba pormi verso di lui e la sua fede. Ripenso alla memorabile intervista a Khomeini di Oriana Fallaci, che rimane il modello di un mondo Occidentale con la schiena dritta nei confronti dell’Islam militante. E’ un attimo per decidermi che non resterò ad ascoltarlo, se mi saranno raccontate delle fregnacce, dal canto mio mi preparerò per il meglio.

Youssef, l’Imam ha una cinquantina d’anni ed è egiziano, un viso tondo ed una zebiba ben marcata, quella sorta di bernoccolo calloso sulla fronte, segno di un musulmano devoto che prega cinque volte al giorno e desidera che tutti lo vedano. Youssef vive in Italia da trenta ed è sposato con una moglie italiana convertita alla fede del Profeta, la donna veste gli abiti tradizionali dell’Islam tradizionale.

Lo incontro nella sua casa, intorno a noi i tanti figli della coppia vengono invitati a non disturbare gli adulti. Le presentazioni di Vittorio, poi viene servito un te alla menta, chiedo di poter registrare la nostra conversazione, annuisce e comincia a parlare. “Gli sbarchi degli altri” racconta una storia che non è vera o meglio è falsa perché non risponde ai dettami dell’Islam”, mi dice, “La misericordia e l’assistenza sono un pilastro della fede, quello che viene riferito sui fedeli in Malesia non è vero.”

L’imam parla con calma e mi spiega che non può esistere una società islamica senza coesione e solidarietà fra i suoi componenti. Ribadisce che l’integrazione e la solidarietà sono i valori che l’Islam ha stabilito per costruire una società coesa, salda e pacifica. La Costituzione di Medina, che è fondamento della Fede, prescrive:

“La vera pietà è quella di chi … dà dei suoi averi, per amore di Dio, ai parenti e agli orfani e ai poveri e ai viandanti e ai mendicanti e per riscattare prigionieri” (Corano, II.77); 

3.“Quel che di buono donate certo Dio lo conosce. Coloro che donano dei loro beni di notte e di giorno, in segreto e apertamente, avranno la loro ricompensa presso il Signore, non ci sarà timore per loro, né li coglierà tristezza” (Corano, II.273-74);

4.“aiutatevi l’un l’altro a praticare la pietà e il timor d Dio, e non appoggiatevi gli uni agli altri per commettere iniquità e prevaricazioni” (Corano, V.2).

Non è mia intenzione interrompere il devoto, ma faccio notare che a dispetto dei buoni propositi il governo malese ha ben altro atteggiamento verso i profughi fratelli rohingya pur avendo la fede islamica come parte integrante della costituzione del 1957. Il terzo articolo dichiara che “L’Islam è la religione ufficiale della Malesia e come tale gli stati (federali ndr) possono creare le proprie leggi applicando la legge islamica … ”. Mi duole osservare che il trattamento riservato ai fratelli di fede è nei fatti terribile.” Proseguo, “La legge malese sull’immigrazione si discosta notevolmente dai principi del diritto internazionale di non respingimento e asilo. Per quanto riguarda l’Immigration Act 1959/63 (Immigration Act o Act), la Sezione 6 afferma che una persona non può entrare in Malesia senza un permesso valido, a quel punto è inevitabile ricevere una punizione, inclusa la possibilità di essere frustati fino a sei colpi di scudiscio. Una persona detenuta in un centro di detenzione per immigrati è considerata sotto custodia legale ed il trattamento ricevuto da un rifugiato è ambiguo, perché durante il periodo di privazione della libertà i rohingya vengono impiegati nel settore edile della Malesia e soggetti ad ambienti di lavoro senza tutele”.

L’Iman pare non ascoltare le mie parole e prosegue affermando che l’idea di solidarietà è nel Corano e si estende per abbracciare tutte le categorie dei deboli e degli oppressi:

1.“Ai genitori fate del bene, e ai parenti e agli orfani e ai poveri e al vicino che v’è
parente e al vicino che v’è estraneo e al compagno di viaggio e al viandante e allo
schiavo, perché Dio non ama chi è superbo e vanesio” (Corano, IV.36);


2. Si precisa inoltre che: “il frutto della Decima e delle elemosine appartiene ai poveri
e ai bisognosi … e così anche per riscattare gli schiavi e i debitori … e pel viandante”
(Corano, IX.60).

Osservo che le parole sono ben distanti dalla realtà, che la solidarietà islamica nei confronti dei profughi rohingya è fasulla. Quei poveracci sono oggetto di sfruttamento, qualche volte si ribellano per le condizioni di vita miserabili e la risposta delle autorità è violenta, si ha notizia di morti durante i disordini.

L’Iman mi ribadisce: “Ogni risposta è nel Corano”. Se qualche governo non rispetta i dettami dell’Islam per sua debolezza saranno le organizzazioni come la mezzaluna rossa ad aver cura dei profughi.

“Vi è un ulteriore spunto di riflessione”, incalzo, “L’idea della punizione corporale con le frustrate mi pare intollerabile e la pratica mi pare diffusa nel mondo islamico, cosa mi vuole dire a riguardo?”

La risposta è nel Corano continua l’Imam,

“È menzionato nel Corano (16:125), ‘Invita tutti alla via del Signore con la saggezza e la bella predicazione, e ragiona con loro nei modi migliori e più misericordiosi’. Qualsiasi legge approvata sotto il nome di Islam deve tenere conto degli insegnamenti più fondamentali del Corano basati sulla giustizia e la misericordia e il diritto a preservare la dignità umana. Anche nei versetti riguardanti la punizione nel Corano (5: 38-39 e 5: 33-34), Dio ha sottolineato le qualità della misericordia e del perdono”.

“Nel mondo cristiano”, affermo, “abbiamo l’immagine del Nazareno e la sua fustigazione, un elemento centrale e costitutivo della fede. Mi pare di rivederlo nella vicenda di questi profughi flagellati e sfruttati, ognuno di loro è un nuovo Cristo”.

L’Iman alza lo sguardo e mi fissa con un’espressione sorpresa, “Mi parla di Islam, ma Lei non conosce la nostra religione. L’hanno detti altri ed io lo ripeto: l’Islam è tutto, vuol dire tutto. Per noi è triste mettere un’altra parola accanto alla parola Islam, che è perfetta. Se vogliamo l’Islam, che bisogno c’è di specificare che vogliamo la democrazia?” 

La moglie convertita si avvicina per chiedere se desideriamo qualcosa, sussurro rivolgendomi all’Iman, “Domine non sum dignus”. Ci congediamo in un attimo, nella convinzione che nessuno abbia convinto l’altro neppure della propria buona fede.

Mi ritrovo a fare due passi con Vittorio fino alla mia autovettura. Vittorio, il mediatore culturale mi pare soddisfatto, mi racconta di come Youssef sia un Iman moderato ed estremamente colto e mi rimprovera per il mio ripetere fino alla fine di come il governo malese maltratta, sfrutta ed uccide i propri fratelli di fede.

“Caro Vittorio”, gli dico, “alle parole preferisco i fatti e le evidenze mostrano che i buoni principi valgono poco, molto poco. Che mi si consideri pure un avvoltoio (l’espressione era di Edward W. Said), al pari dello scrittore anglo-indiano V.S. Naipaul, che detestava l’ipocrisia dell’Islam, perchè i maggiori trafficanti di schiavi in Africa furono gli arabi e fecero una fortuna. Oggi assistiamo al rinascimento dell’Arabia Saudita e del Quatar che è fondato sullo sfruttamento dei propri simili nel costruire enormi città energivore nel deserto. No Vittorio, la Fallaci lo aveva capito bene e noi abbiamo perso una generazione o due a farci mille domande. Un’ultima riflessione, non dire che l’Imam è colto perché l’istruzione è una faccenda seria ed un macellaio con un certo seguito di confratelli non potrebbe rivendicare un titolo di vescovo a Roma, a me il tuo Imam pare un tale che ha imparato a memoria le sure del Corano”.     

12 aprile

Particolare della Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca, circa 1450.

 

 

Costituzione della Malesia

https://www.jac.gov.my/spk/images/stories/10_akta/perlembagaan_persekutuan/federal_constitution.pdf

Malaysia Immigration Act 1959-1963

https://www.refworld.org/docid/3ae6b54c0.html

 

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