La prostituzione è illegale in Cina dal 1949 ed è stata una delle prime leggi promulgate del governo di Mao Zedong, più che l’affermazione di un principio di emancipazione dallo sfruttamento per ragioni di tipo economico, la legge si poneva soprattutto come istanza igienico sanitario per eradicare la piaga delle malattie veneree.

Ma la prostituzione è affare vecchio quando il mondo e con l’allentarsi del controllo del partito sulla società civile a partire dagli anni 80 è tornata a diffondersi e a farsi visibile nelle città attraverso bar e barber shops, centri massaggi e saune, karaoke e discoteche perché l’uomo nuovo creato dal partito non è tanto differente da qualsiasi altro.

La massa e l’organizzazione, ovvero la peculiarità della Cina rimangono inalterata anche in questa poco lodevole attività umana. La città di Dongguan, nel Guandong, inferno del mondo, patria delle pandemie e tra le aree più inquinate del paese, è la capitale mondiale del meretricio con oltre trecentomila prostitute residenti.

Le autorità cinesi fingono sconcerto, di tanto in tanto operano delle retate e chiudono dei locali, l’idea è che si tratta più che altro che regolamenti di conti tra proprietari e polizia quando i primi si lamentano delle percentuali che devono riconoscere ai poliziotti, quando poi nel 2014 il fenomeno aveva assunto proporzioni gigantesche con un numero superiore a mezzo milione di prostitute, le autorità locali si impegnarono in un’operazione di facciata in prossimità del giorno di San Valentino chiudendo migliaia di locali, mettendo le ragazze per la strada a fare ciò che avevano sempre fatto.

Giampaolo Visetti che ci dedicò un articolo una decina di anni fa su “Repubblica”, ricordava che erano stato attivato corsi professionali sui servizi alla persona e certificazioni ISO sulle prestazioni, perché a Dongguan si organizzano congressi come in nessun altro luogo in Cina e centinaia di aerei di turisti del sesso atterrano nel locale aeroporto durante il week end.

La faccenda assume dei toni grotteschi, quando la città di Dongguan viene presentata come l’unica città della Cina dove ogni uomo ha tre fidanzate, perché si racconta che le lavorazioni delle fabbriche richiedono personale femminile, in realtà la Cina non ha fatto nascere bambine per la politica del figlio unico a milioni, i cinesi vogliono figli maschi ed aborti e femminicidi alla nascita sono pratica comune, così le donne scarseggiano e le poche subiscono molestie e violenza da parte dei tanti uomini, più basso è il livello economico e culturale maggiore è lo sfruttamento.

La legge nazionale del partito sulla parità di genere è ben scritta, riportata in inglese e fruibile ad un pubblico che cerca nella Cina motivi di simpatia, in verità allo sfruttamento corrisponde anche un mondo mercificato, che del capitalismo ha assunto i peggiori modelli. Tra i giovani cinesi l’amore non sembra interessare molto ed il 44% delle ragazze ha affermato che si già prostituita per avere benefici economici.

Senza amore e sempre in vendita, vittime consapevoli e alla ricerca di qualche yuan, una ragazza del Guandong seminuda e con un numero spillato sul proprio reggiseno aspetta in fila con altre trecento, che il cliente faccia la propria scelta.

Quando cominciamo ad aprire gli occhi sull’abisso dell’inferno Cina?    

12 novembre

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