George Biden è il nuovo presidente degli Stati Uniti.

Superate le baruffe delle prossime settimane, riceverà la prossima incoronazione nel mese di gennaio 2020 e da quel giorno sarà la sua amministrazione a dettare l’agenda.

Come anticipato in questa sede in diverse circostanze, la futura amministrazione non cambierà la propria visione della Cina, modificherà solo la strategia mostrando maggiore cautela nelle esternazioni non affrontando in modo diretto il regime di Pechino.

Durante la campagna presidenziale Biden ha esplicitamente chiamato il presidente Xi Jinping “thug”, ovvero un delinquente, come non ha mancato di alzare i toni sulla questione degli Uiguri dei nuovi territori o Xinjiang e del loro genocidio e ha assicurato che i responsabili dei crimini contro il popolo tibetano saranno perseguiti dagli Stati Uniti, prudentemente alludendo ai singoli funzionari e non già il regime di Pechino, Biden durante la campagna ha rimarcato come Trump fosse stato il primo presidente americano a non incontrare il Dalai Lama.

Nei giorni della promulgazione delle leggi liberticide di Hong Kong, Biden aveva sottolineato i silenzi dell’amministrazione Trump annunciando sanzioni nel caso di una sua vittoria alle elezioni presidenziali.

Diritti umani e politici ma anche una diversa visione economica globale, se Trump ha cercato di rendere più complicato il commercio con la Cina alzando le tariffe doganali e mettendo alla porta la principale azienda tecnologica cinese Huawei, Biden, cercherà una trattativa più ampia e condivisa, che comprenda anche gli alleati storici degli Stati Uniti, che erano stati messi in disparte dall’amministrazione repubblicana. Oltre tutto ciò Biden prevede di spendere centinaia di miliardi di dollari, 300 miliardi di dollari per nuove attività di ricerca e sviluppo per garantire che l’industria tecnologica statunitense riprenda slancio, già accordi bipartisan al Congresso era stato raggiunto circa la tutela dei marchi e brevetti statunitensi, un tema di rilevanza nazionale. 

Due figure di spicco dello staff di Joe Biden spiegano in modo semplice l’agenda, Ely Ratner vice presidente esecutivo e direttore degli studi presso il Center for a New American Security (CNAS), vice consigliere per la sicurezza nazionale del vicepresidente Joe Biden dal 2015 al 2017 e dal 2011 al 2012 nell’ufficio per gli affari cinesi e mongoli presso il Dipartimento di Stato, identifica la Cina come la sfida globale della prossima amministrazione: “C’è una competizione tecnologica, una competizione militare, una competizione economica, una competizione ideologica e una competizione diplomatica è un compito arduo.” 

Michèle Flournoy, primo candidato al ruolo di segretario alla Difesa degli Stati Uniti, già sottosegretario per le politiche della Difesa con l’amministrazione Obama con lauree ad Harvard ed Oxford, specializzazioni alla Kennedy School e all’Army War College, unita ad una solida esperienza e conoscenza del Pentagono dove aveva lavorato già ai tempi dell’amministrazione Clinton, ha suggerito lo scorso giugno, che gli Stati Uniti dovrebbero avere la capacità di “affondare tutte le navi militari, i sottomarini e le navi mercantili cinesi nel Mar Cinese Meridionale entro 72 ore”.

L’altra sera il Global Times, giornale di del partito comunista di Pechino, twittava una risata circa le richieste di Donald Trump circa un nuovo conteggio dei voti, fosse in loro non avrei nulla da ridere, è solo cambiato il comandante in capo dell’esercito avversario che ama vestire dei guanti di velluto. 

 E’ morto il Re, viva il Re!

8 novembre

 

 

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