Riceviamo una nota dalla nostra Nanami Kawakami, esperta di questione energetiche dal Giappone, che pubblichiamo nell’impellenza dei tempi.

 

Nel pieno della corsa globale alla transizione energetica, gli Stati Uniti hanno deciso di alzare barriere, lo sappiamo bene. Con un provvedimento annunciato dal Dipartimento del Commercio, sono stati imposti dazi superiori al 3.500% su pannelli solari provenienti da Cambogia, Malesia, Thailandia e Vietnam. Non è una misura tecnica. È una scelta politica. E, come tutte le scelte politiche in tempi di transizione, ha conseguenze non lineari.

Le accuse sono note: aziende cinesi userebbero stabilimenti in questi Paesi per aggirare i dazi precedenti, esportando pannelli a basso costo grazie a sussidi pubblici. Di conseguenza, si punisce l’intero perimetro produttivo del Sud-Est asiatico. Anche chi, come alcuni produttori cambogiani, si è trovato nel mezzo senza possibilità di difesa, viene colpito con dazi che equivalgono a un’espulsione dal mercato.

Secondo i dati della Solar Energy Industries Association (SEIA), oltre l’80% dei pannelli solari installati negli Stati Uniti nel 2024 proveniva da questi quattro Paesi del Sud-Est asiatico. Solo il 2% è stato prodotto interamente su suolo americano. La dipendenza è strutturale, e la penalizzazione delle importazioni rischia di rallentare drasticamente i nuovi impianti previsti per il 2025–2026.

Il ragionamento statunitense è lineare: proteggere la nascente industria nazionale, garantire indipendenza tecnologica, frenare l’influenza cinese. Ma l’esito è un classico cortocircuito tra politica industriale e obiettivi climatici. Colpire chi produce pannelli solari efficienti e accessibili significa rallentare l’adozione su larga scala delle rinnovabili. Significa alzare i prezzi, allungare i tempi di installazione, scoraggiare l’adozione domestica proprio mentre il pianeta si scalda.

Secondo BloombergNEF, il costo medio di un impianto solare residenziale negli Stati Uniti è aumentato del 12% nell’ultimo anno, proprio a causa delle incertezze legate ai dazi e alle forniture. E nel frattempo, l’IEA stima che il mondo dovrebbe installare almeno 630 gigawatt di energia solare all’anno entro il 2030 per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Nel 2024 siamo arrivati a 450 GW. L’obiettivo non è fuori portata, ma ogni ostacolo rallenta.

La situazione è ancora più paradossale se si considera il ritardo accumulato dall’Occidente. L’Europa produce meno del 3% dei pannelli solari globali. I suoi principali impianti – come Meyer Burger in Germania – faticano a competere per costo e scala. I progetti di re-shoring avanzano lentamente, le catene di fornitura restano sbilanciate, i piani strategici si scontrano con l’assenza di capacità industriale reale.

Così, mentre si discute di autonomia strategica e neutralità climatica, le scelte operative remano in direzione opposta. Il protezionismo viene giustificato come misura difensiva, ma il risultato è un sistema energetico più fragile, più costoso, più lento. E meno verde.

La Cambogia, colpita più duramente di tutti, è il simbolo di questa contraddizione. Un piccolo paese che aveva trovato nel solare un settore in cui inserirsi globalmente viene ora messo alla porta. Non perché abbia barato, ma perché è stato funzionale a una catena globale che oggi si vuole ristrutturare a colpi di confine.

L’Europa, come spesso accade, osserva e si interroga. Vorrebbe imitare l’America, ma non ha l’industria. Vorrebbe fare la transizione, ma non vuole dipendere dall’Asia. Vorrebbe tutelare il clima, ma non intende abbandonare la grammatica del mercato. Il risultato è una paralisi semantica: molte dichiarazioni, poche decisioni efficaci.

Il vero problema non sono i pannelli cambogiani, né i dazi americani. Il problema è un Occidente che cerca di difendere l’idea di progresso senza accettare il fatto che, oggi, il progresso lo fanno altri.

Serve una strategia razionale, non una reazione nervosa. Serve investire, costruire, imparare. Ma soprattutto serve tempo. E il tempo, in politica energetica come nel clima, è la risorsa più scarsa di tutte.

Fonti
[1] Reuters, “US finalizes tariffs on Southeast Asian solar imports”, 21 aprile 2025.
[2] Solar Energy Industries Association (SEIA), “US Solar Market Insight Q4 2024 Report”.
[3] BloombergNEF, “US Residential Solar Cost Trends – 2024 Summary”.
[4] International Energy Agency (IEA), “Net Zero by 2050: 2024 Status Report”, marzo 2025.
[5] European Commission, “Strategic Technologies for Europe Platform (STEP): Photovoltaics”, febbraio 2025.

13 maggio

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