L’editoriale del China Daily “Reunification will be by force if necessary whether US supports secessionists or not” dello scorso 7 novembre, sul legittimo uso della forza per l’occupazione militare di Taiwan apre nuovi scenari nel mar meridionale cinese.

Nel recente passato il presidente Xi Jinping aveva dichiarato che la questione di Taiwan dovesse essere risolta, senza lasciare alle nuove generazioni l’impegno della riunificazione, ma non si era mai espresso tanto duramente come nell’editoriale del tabloid del partito comunista.

I temi del dialogo sembrano lasciare lo spazio alle minacce, ma quanto è plausibile un’invasione di Taiwan a fine 2021?

Gli analisti militari considerano l’esercito cinese ancora inadeguato all’impresa, almeno fino al 2025 come affermato dal ministro della difesa taiwanese Chiu Kuo-cheng.

Ad oggi i cinesi devono ancora ricorrere a tecnologie altrui per rendersi competitivi, si veda il recente scandalo dei motori marittimi tedeschi ceduti alla marina militare cinese. Gli aerei di Pechino si alzano sui cieli di Taipei, ma ancora sono inferiori agli equivalenti statunitensi. La principale portaerei cinese rimane un ferrovecchio ucraino rimodernato e pittato di fresco e lo stesso Xi Jinping pone il 2050 come data obiettivo per il superamento degli Usa e del suo esercito. 

Cosa rimane della minaccia?  Ragioni di consenso interno e Mutatis mutandis, la velata convinzione che Taiwan non equivalga alla Polonia, come è stata Hong Kong ai Sudeti. Nel 1939 il mondo libero non si mosse alla prima occupazione di un paese libero, ma divenne un imperativo fermare Hitler quando invase la Polonia.

Oggi la Cina si domanda se l’Occidente possa far morire i propri figli per Taipei e nell’incertezza abbozza e lancia messaggi ora aggressivi talvolta tranquillizzanti. Fino all‘alzata dei toni di Pechino, che coincide con la visita di un gruppo di parlamentari europei a Taiwan e nell’ultima settimana la visita di un gruppo di politici statunitensi, decisamente troppo per le feluche di Xi Jinping.

Washington ha vissuto con Fidel per oltre sessant’anni a poche miglia da Key West, ma cosa faranno i cinesi con la provincia da loro definita ribelle

Formosa, che in lingua portoghese vuol dire “bella”, isola lontana dalla Cina continentale quanto Milano è da Genova, con la sua eterna primavera tropicale rimane un luogo unico. Parchi naturali e moderne città, templi buddisti tra foreste tropicali ed il maggior produttore globale di semiconduttori e chip, ma anche una democrazia compiuta di oltre 23 milioni di abitanti. Formosa il desiderio di molti, dai portoghesi, agli spagnoli ed agli olandesi ed inglesi, fino ai giapponesi che ne detennero il controllo per cinquant’anni da fine ottocento fino alla sconfitta nella seconda guerra mondiale.

Curiosamente gli autoctoni aborigeni che sono meno del 3% della popolazione, parlano lingue maleopolinesiane che con i cinesi non hanno nulla a che fare, nell’evidenza il paradosso di un’isola bellissima che tutti hanno desiderato, ultima ossessione di Xi Jinping nel sogno della propria immortalità.

12 novembre

 

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