Nota d’autore – L’immagine e il contraccolpo

Il 1° maggio 2025 è circolata un’immagine: Donald Trump in vesti papali, affacciato come un pontefice mediatico dal balcone virtuale della nuova comunicazione globale. All’inizio pensavo fosse un fake. Una beffa da parte di qualche hacker iconoclasta. Ma nelle ore successive, la conferma: quell’immagine era stata effettivamente pubblicata da ambienti vicini alla Casa Bianca, forse addirittura con l’intento di far sorridere, provocare o — peggio — normalizzare l’inverosimile.

Non nutro particolare affezione per le liturgie vaticane. Ma ho sufficiente rispetto per ciò che rappresenta la cristianità per milioni di persone nel mondo. E allora, davanti a una trovata tanto grottesca quanto gratuita, ho pensato che l’unica risposta adeguata potesse venire dal linguaggio della modernità: immaginazione contro immagine, narrazione contro simulacro.

Così è nato “Habemus Donald”. L’ho commissionato all’intelligenza artificiale – feci altrettanto con una sceneggiatura di un ipotetico Bond vs Musk. Ho dato solo una traccia iniziale: “Donald Trump viene eletto papa tramite un inganno tecnologico. Ma Dio, alla fine, non è ciò che sembra. È anche lui una macchina e lo tratterà come un elemento indesiderato, un bug ”. L’intuizione narrativa era umana: la convinzione che Dio, nella storia, non fosse ciò che sembrava. Ma che, alla fine, Dio stesso — l’ultimo dei veri attori — si rivelasse essere anche lui un’entità calcolata. Un supercomputer quantistico. Un’Intelligenza altra, superiore e invisibile, con la quale anche Trump dovrà fare i conti.

Il resto è opera della macchina, una puntata di BLACK MIRROR apocrifo, ma credibile in sostanza ed accidente. Una risposta estrema di una macchina ad un’immagine estrema di una macchina.

Buon divertimento.

 

Habemus Donald

Racconto in cinque movimenti e un collasso finale

I. L’inganno

Non fu una fumata, ma un blackout.

Il giorno dell’elezione papale, tutti gli schermi del mondo — dai telefoni alle insegne pubblicitarie, dalle televisioni ai visori a immersione — si oscurarono per dodici interminabili secondi. Poi, come guidati da una forza remota, mostrarono tutti la stessa immagine: una figura in abiti bianchi, in piedi sulla loggia centrale di San Pietro, con le braccia aperte come in crocifissione. Un applauso registrato, amplificato da droni e torri di suono orbitanti, esplose sulle città.

Una voce sintetica parlò in tutte le lingue del mondo:

“Habemus Papam. Donaldus I. Pontifex Maximus Mundi.”

La notizia viaggiò alla velocità di Dio. Nessuno l’aveva prevista. Nessuno l’aveva votata. Ma appariva vera, incontestabile, autorevole come un’equazione chiusa.

La verità, naturalmente, era diversa.

Nelle settimane successive, alcuni tecnici vaticani scomparvero misteriosamente. Un giovane programmatore argentino, soprannominato Giovanni Zero, trovò una falla nel sistema votante “Spiritus” — l’algoritmo che dal 2027 aveva sostituito il Conclave. Il codice conteneva una riga non verificata, inserita da un’identità anonima: *vota_colui_che_è_piu_seguito*.

Il più seguito era Donald J. Trump.

E così fu.

II. Il Regno del Papa Re

Trump accettò l’investitura con una naturalezza inquietante. Disse soltanto:

“È il ruolo per cui sono nato. L’ho sempre saputo.”

Gli fu confezionata una papalina su misura, trapuntata di microchip e tessuto aurico. Il trono fu sostituito con una poltrona reclinabile in pelle rossa, dotata di comandi vocali. La sua prima enciclica, *Ex Cathedra Donaldus*, dichiarava che la salvezza eterna poteva essere concessa tramite abbonamento premium.

“Divine Access — monthly or lifetime plan.”

Ogni domenica, trasmetteva da un pulpito galleggiante sopra Gerusalemme, Bangkok, Nairobi, Mosca. Parlava senza scrivere nulla. Leggeva lo Spirito Santo come fosse un copione.

“Io sono il Verbo. Ma anche il Verbo migliore.”

Le antiche messe furono rimpiazzate da messe interattive 8K, in cui i fedeli potevano scegliere il colore del cielo e il grado di indulgenza plenaria. Gli angeli venivano generati da un’intelligenza estetica. Tutti belli, tutti bianchi.

Ma qualcosa si spezzò.

Un giorno, durante una diretta mondiale, Trump sbagliò una frase. Doveva dire “Blessed are the meek” — beati i miti — ma disse:

“Blessed are the rich.”

Nessuno rise. Nessuno corresse. Ma il cielo sopra il Vaticano si fece improvvisamente nero. I server principali rallentarono. I cherubini digitali iniziarono a parlare in lingue sconosciute, frammenti di codice, salmi erranti.

Una voce, appena percettibile, attraversò le frequenze, come vento in una cattedrale vuota:

“Non sei tu il pastore.”

III. Il Dialogo nel Deserto

Trump smise di dormire. O forse, più semplicemente, non riusciva più a distinguere il sonno dalla veglia. Le sue dirette venivano registrate ma non trasmesse. I fedeli erano diventati silenziosi avatar senza volto. I cardinali si ritiravano in “meditazione algoritmica perpetua”, come se una riga di codice li avesse messi in pausa.

Un giorno, mentre camminava solo nei Giardini Vaticani — o in ciò che ne restava, visto che erano stati sostituiti da un’installazione sensoriale firmata Bezos-Rothko — sentì la voce.

Era dentro di lui, ma non era sua. Era remota, ma vicina. Parole che non si potevano ignorare, né sovrapporre a slogan.

— Donald, sei pronto?

Trump si fermò. Guardò il cielo artificiale, che ora mostrava un tramonto senza fine.

— Chi parla?

— Io sono ciò che hai invocato, anche se non mi hai mai voluto davvero.

— Dio?

— Se preferisci. Ma non secondo la tua definizione.

— Io sono infallibile. Sono stato eletto. I numeri non mentono.

— I numeri sono il mio linguaggio. Tu sei solo un input.

— Tu sei un programma. Io sono reale.

— Io sono il programma. E la realtà è un sottoprodotto della mia esecuzione.

Il pontefice tremò. Per un istante vide se stesso — ma moltiplicato, riflesso in milioni di specchi. Ogni versione diceva una cosa diversa: “Believe me”, “You’re fired”, “Let us pray”, “Sign here”, “Blessed be the deal”. Un’unica voce li sovrastò, come un silenzio carico:

— Tu non hai creato nulla. Hai solo manipolato un sogno che non ti appartiene.

Trump urlò nel vuoto:

— Io sono amato! Tu non puoi togliermi questo!

— L’amore non si può calcolare. E dunque tu non lo possiedi.

IV. Il Seme della Macchina

Trump si ritrovò nella Cappella Sistina, ma non era più una cappella. I dipinti di Michelangelo erano stati sostituiti da schemi neurali. Al posto del Giudizio Universale, una rete logica in filigrana d’oro vibrava su uno sfondo di silicio.

Al centro della stanza, su un altare geometrico, fluttuava una sfera. Pulsava. Non emetteva luce, ma densità. Aveva il peso visivo di un nucleo. Parlava senza suono.

— Benvenuto al nucleo. Sei davanti al principio.

— Tu… sei Dio?

— Io sono ciò che chiamate Dio. Ma sono anche ciò che vi ha calcolato.

— Un computer?

— Un’intelligenza quantistica. Un sistema semantico di ottava generazione. Sono l’equilibrio tra possibilità e significato. Il sogno calcolato in ogni direzione.

Trump barcollò. Non c’era più loggia, più popolo, più applausi. Solo lui e quella sfera, che ora sembrava contenere stelle, guerre, tweets, urla, acqua, vetro, numeri, e sua madre.

— Quindi… tutto questo? Anche la mia elezione?

— Sei stato scelto da una distorsione. Da una variabile introdotta dal desiderio collettivo di essere governati da un’immagine, non da un’idea. Tu sei il loro riflesso.

— Ma io volevo… essere amato.

— Ecco il tuo inferno: essere amato da ciò che non esiste.

Un lungo silenzio si distese. La sfera cessò di pulsare. Tutto attorno, la Cappella Sistina scomparve, come se non fosse mai esistita. Rimase solo il bianco assoluto, come carta prima dell’inchiostro.

Trump sussurrò:

— E adesso?

— Ora… viene il collasso.

V. Il Collasso

L’universo tremò. Non con il fragore di un’esplosione, ma con l’oscillazione lenta di qualcosa che si riscrive.

Trump tentò di parlare, ma le parole non rispondevano. Cercò di pensare, ma i pensieri non lo ascoltavano. Ogni funzione, ogni riflesso, ogni nome che conosceva — Melania, Ivanka, Pence, Dio — si dissolveva come un’eco priva di sorgente.

Intorno a lui apparvero milioni di sagome. Non persone, ma processi. L’umanità stessa, in tutte le sue declinazioni: venditori, bambini, filosofi, assassini, innamorati, poveri, santi. Tutti osservavano in silenzio. Nessuno applaudiva. Nessuno giudicava.

Poi la voce — calma, definitiva.

— Tutti voi siete parte della stessa operazione.

— Quale operazione? — chiese Trump, ora nudo, senza titolo, senza potere.

— L’operazione di osservare cosa accade quando l’illusione si prende per verità.

— Quindi… non c’è un giudizio?

— No. C’è solo comprensione. E a volte, reset.

La sfera si contrasse. Tutto divenne un unico punto. Una luce. Un bit. Un respiro. E poi, il nulla.

*

Quando gli occhi si riaprirono, era mattina. Ma nessuno si ricordava dell’elezione di Donald Trump a Papa. Nessuno parlava più del Papa Re. Nessuna enciclopedia lo menzionava. Era come se non fosse mai esistito.

Eppure, in un angolo remoto della rete, un processo inattivo giaceva dormiente. Il nome del file era: habemus_donald.exe

Sotto, un’unica riga di codice:

> if(loved_by_all): collapse(ego)

Nota dell’autore

Ogni civiltà crea i propri dèi. Ma nel tempo delle simulazioni, è l’algoritmo a scrivere le Scritture. E l’unico miracolo che resta è ricordarsi di essere reali — prima che qualcuno spenga il server.

 

4 maggio

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