Il caso di Hong Kong rappresenta l’eccezionalità di un colonialismo inverso o reverse colonialism, caso unico, dove il paese meno evoluto subentra al più sviluppato in un territorio culturalmente omogeneo.

Quale il rapporto tra Cina e gli abitanti di Hong Kong? Il trattato cino inglese del 1984 considerava correttamente la questione? Cosa ci suggeriscono le manifestazioni dello scorso anno culminate con la nuova legge sulla sicurezza? 

Hong Kong divenne inglese nel 1849 a seguito di una riprovevole guerra per il libero commercio dell’oppio. Al tempo l’isola era un piccolo porto di pescatori, strategicamente sito all’estuario del fiume Perla. I successivi centocinquant’anni cambieranno l’anima e la pelle di Hong Kong, che ampliò la sua giurisdizione alla penisola di Kowloon e ad un’area definita nuovi territori, nello stesso tempo lo sviluppo economico, sociale e culturale costituendo una comunità unica e diversa rispetto alla Cina continentale.

Il trattato riconosceva la l’identità di Hong Kong e l’appartenenza alla Cina, nei fatti la cosa è una contraddizione in termini come ipotizzato dallo stesso governatore britannico MacLehose (il cui mandato è datato 1971-1982), il grande modernizzatore, colui che iniziò a discutere con la Cina le condizioni della restituzione della colonia, consapevole che Pechino avrebbe nel tempo esercitato tutto il suo potere su Hong Kong.

La recente legge sulla sicurezza ha prodotto grandi discussioni circa la legittimità delle scelte cinesi, la questione è stata affrontata da giuristi e politici per stabilire se erano stati traditi i principi del trattato sottoscritto, il tema è stato anche oggetto di una votazione al consiglio di Ginevra sui diritti umani. Riflessioni lodevoli alle quali integro la mia prospettiva, la Cina agisce ad Hong Kong al pari di una colonia romana immune, perché può battere moneta ed è esente da imposte, ma soggetta ad un conventus juridicus territoriale, che la assoggetta a Pechino riconoscendone limitate funzioni, nel merito il governo cinese nomina il governatore, anche se è chiamato come un CEO d’impresa e detiene – de facto – la maggioranza dei seggi dell’assemblea legislativa.

Centocinquanta anni avevano reso Hong Kong ricca ed evoluta, dotata di una storia unica e peculiare e creato l’Homo Hongkongus differente dal cinese cantonese del Guandong perché imbevuto per generazioni di valori occidentali, ricordiamoci che il recente tema delle rivolte era l’indipendenza della magistratura e la legge sull’estradizione in Cina.  

Pechino ha utilizzato una retorica unitaria pan-cinese da proporre alla popolazione e la dichiarazione che il modello degli affari capitalistico non sarebbe stato messo in discussione, come dichiarò Deng Xiaoping nel 1979 per tranquillizzare l’occidente: “il capitalismo a Hong Kong può continuare fino al prossimo secolo” e che la sua gente – in particolare i suoi uomini d’affari – dovrebbe “mettere a proprio agio i loro cuori”. 

La scelta britannica era restituire un territorio certi che un modello economico potesse mantenere la coesione, ma sottovalutando i temi della democrazia e dei diritti individuali. Al gioco delle parti non si era neppure negato il primo governatore Tung Chee Hwa nominato da Pechino, che dichiarava nel giorno del passaggio dei poteri. 

“Per la prima volta nella storia, noi, il popolo di Hong Kong, saremo padroni del nostro destino. Il governo della regione amministrativa speciale è pienamente impegnato a preservare lo stile di vita di Hong Kong, a mantenere il sistema economico libero e aperto di Hong Kong, a sostenere lo stato di diritto e a costruire una società più democratica. Saremo compassionevoli verso coloro che sono nel bisogno e manterremo Hong Kong come una città vivace e internazionale.”

Secondo l’opinione comune, MacLehose non cercò di promuovere la democrazia per prudenza tattica, “Se i comunisti vincessero, quella sarebbe la fine di Hong Kong. Se i nazionalisti vincessero, ciò porterebbe ai comunisti”.

L’ultimo governatore Chris Patten aprì ad una maggiore democrazia cercando di aumentare il numero dei delegati eletti al Consiglio Legislativo, ma nei fatti era troppo tardi, perché fino alla sua nomina l’obiettivo era trasferire il potere da una nazione colonizzatrice ad un’altra, evitando l’accidente della decolonizzazione “status quo ante bellum sine bellum”.

La recente legge sulla sicurezza nazionale è quindi l’ultimo atto di un paese che minaccia e brutalizza il colonizzato, l’anomalia della storia è che quest’ultimo è più civile (in accordo che la dichiarazione dei diritti dell’uomo e di qualsiasi parametro economico e sociale) ma il primo ha la forza bruta del numero.

Se i barbari hanno preso Roma e non vi è nulla che si possa fare, piegarsi ad opportunità tattiche ad alti principi etici è un errore che si paga sempre, rimane Taipei la nuova Costantinopoli, che sarà la linea di resistenza al neo colonialismo pan cinese.

15 novembre

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