Strano in modo di raccontare le vicende birmane da parte della stampa italiana.

Quarto di mondo sconosciuto ai più, se uno specializzando ha confuso l’Indocina come Corea e non vi nulla che noi possiamo fare per trovarne una scusa. Allan Bloom, l’indimenticato intellettuale amante della cultura classica, lo avrebbe fatto a pezzi e messo a fare il garzone in una latteria, ma l’istruzione versa allo sbando e chi aveva il compito di formarlo ha alzate le spalle e mormorato il suo sconcerto a chi scrive.

Come parlare allora del Myanmar, l’antica Birmania, il paese percorso da disordini tra il regime militare che ha rovesciato la zoppa democrazia di Aung San Suu Kyi e portato nelle strade migliaia di dimostranti. Il processo di normalizzazione da parte della giunta procede tra manganelli e omicidi mirati, le iniziative internazionali sono sotto lo scacco dei veti cinesi in inutili consessi internazionali, che sono ben felici di riprendere in mano il gioco, nella prospettiva di predare i bacini idrici e di garantirsi un nuovo sbocco al mare per i commerci esteri. La politica di Pechino è tanto nota, che addirittura la cinica star Slavoj Zizek è scesa dal suo trono per denunciarne l’iniquità.

L’Occidente tace, distratto da questioni più note e mai banali, come le reazioni dello stato d’Israele ai missili di Hamas, faccenda questa che si ripete ogni lustro ed il cui costo di sangue è la garanzia da parte dell’organizzazione terroristica islamica di mantenere saldo il proprio potere. I tromboni barocchi della Ocasio-Cortez e di Sanders urlano alla strage, mentre la stampa italiana comincia a rappresentare la faccenda birmana con un gusto esotico.

Le pagine dei principali giornali italiani mostrano Htar Htet Htet, una reginetta di bellezza che ha rappresentato il paese nel 2013, che ha preso le armi per proteggere il proprio villaggio dalle incursioni dell’esercito, bellissima e combattente, nuova icona del nostro secolo coniglio.

Poche ore fa abbiamo visto il cartello esposto da Thuzar Wint Lwin , candidata alla competizione di Miss Universe 2021. Ha invocato la pace nel proprio paese approfittando della passerella ed ha rilasciato un’intervista al New York Times, che gli costa il ritorno a casa e gli fa guadagnare un visto di rifugiata politica. E’ bella e brava avrà fortuna sulle passarelle ed a Beverly Hills.

Due anni fa un’altra reginetta birmana Swe Zin Htet aveva fatto per prima outing alla stessa manifestazione: “La cosa difficile è che in Birmania le persone LGBTQ non sono accettate e sono disprezzate e vengono discriminate”, due anni e sembra un secolo.

Guazzabuglio di idee e di opinioni, insalata verbale e disordine, pruderie da film Emanuelle per i più anziani. Per molti anni l’Indocina e la Birmania sono stato il sogno erotico di molti occidentali. Un grande romanziere d’Europa, Michel Houellebecq, ci ambientò un romanzo sulle debolezze e sui vizi dell’uomo occidentale di mezza età, ma rammarica scoprire che i luoghi comuni ritornano sempre ed inevitabilmente e raccontare quel mondo attraverso le vicende di qualche bella ragazza, vuoi paladina dei minacciati, vuoi delle lesbiche di Rangoon.

Il tutto non ancora strumentalizzato a favore di un dibattito interno del nostro paese, promosso da qualche censore italiano, che vuole normare il respiro, lo sbuffo ed il pernacchio, si veda Zan ma si legga Hughes il cui “La cultura del piagnisteo, la saga del politicamente corretto”, che è la guida del nostro tempo marcio e bastardo.    

18 maggio

 

 

 

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