“I prezzi del trasporto di un container dall’Asia sono saliti da 1500 dollari a 6000 per effetto della crisi del corno d’Africa”. Mi risponde al telefono l’amico spedizioniere dall’altra parte del mondo. “Deve pensare al container come il più preciso dei termometri sulla salute dell’economia globale. Mille euro prima della stagione del Covid, con la costruzione di navi enormi lunghe 400 metri capaci di trasportare 20.000 container, ma anche margini ridotti per gli armatori. la pandemia ha portato i noli ad oltre 20.000 dollari per un container da 40 piedi. Erano giorni in cui noi siamo diventati ricchi e voi poveri per effetto dell’inflazione. I noli sono un indicatore perfetto dello stato dell’economia globale, il container su cui viaggiano le merci dall’Asia sono il primo mattone su cui si poggia l’economia dei commerci e degli scambi”.

L’amico spedizioniere ha ragione.

I terroristi yemeniti a trazione iraniana hanno cominciato a lanciare missili alle navi di passaggio nel golfo di Aden ed i prezzi dei trasporti si sono impennati. A breve – lo possiamo affermare – avremo una nuova fiammata sull’inflazione, per quanto tempo lo dirà la guerra. Le navi commerciali cambiano rotta, ma il periplo dell’Africa ha tempi e costi maggiori tali da creare inciampi senza fine nella produzione della catena del valore. 

L’importanza del golfo di Aden e dello stretto di Bab el-Mandeb è sorprendente, si pensi ad uno stato come Gibuti, che ha concesso a statunitensi, giapponesi (unica base all’estero) e dal 2017 ai cinesi di aprire basi militari per la difesa del commercio dai pirati somali prima ed ora dagli sciti yemeniti. Numeri alla mano, in questo angolo di mondo transita il 12% del commercio globale ed il 30% della movimentazione dei container.

L’asse canaglia della nuova guerra lancia la minaccia sui mari, mentre il portavoce del governo illegittimo di Sanaa Mohammed al Bukhaite, ha dichiarato una settimana fa, che le navi commerciali russe e cinesi non saranno attaccate, per ricordarci le alleanze e gli schieramenti.

Il South Morning China Post, già libero quotidiano della borghesia mercantile di Hong Kong, ora voce vellutata di Pechino, ricorda che partecipare ad una coalizione a difesa dei commerci sarebbe un segnale ambiguo riportando le parole del ministro degli esteri cinesi Wang Wenbin: “si ritiene che le parti interessate, in particolare i principali paesi influenti, debbano svolgere un ruolo costruttivo e responsabile nel mantenere sicure le rotte marittime nel Mar Rosso.” Espressione curiosa, ma conforme al pensiero di Pechino, che commercia con l’Occidente ma non vuole dispiacere i propri alleati iraniani e russi che combattono per procura nello stretto di Bab el-Mandeb, il cui significato in arabo è un vaticinio,”porta del lamento funebre” (!) . Un’editoriale del China Daily del professore Li Haidong dell’Istituto di relazioni internazionali dell’Università di Pechino afferma che inserire il gruppo degli houthi nella lista delle organizzazioni terroristiche produrrà un intensificarsi del conflitto, curioso e dimentico delle decine di missili lanciati verso il naviglio commerciale nelle ultime settimane.

Oggi i cinesi preferiscono vestire i panni del free rider, ovvero godere di chi scorta le proprie navi senza pagarne il costo e prendere posizione, almeno per il momento, perchè  “Nessuno può portare una maschera per sempre”, avrebbe detto il filosofo stoico Lucio Anneo Seneca: “Nemo potest personam diu ferre”.

25 gennaio

©2024 - Altriorienti - Accesso amministratori - Questo sito non raccoglie informazioni personali e non usa cookies

Log in with your credentials

Forgot your details?