Risulta sorprendente veder apparire l’ex cittadina britannica Carrie Lam, attuale CEO dell’amministrazione cinese di Hong Kong in un incontro via web e dichiarare che laggiù ogni cosa è a posto. Ci racconta che l’ordine è ripristinato, e poco conta che i rappresentanti pro democrazia siano stati incarcerati, anzi che proprio quei Joshua Wong e Jimmy Lai – lo studente e l’editore di tabloid popolari – fossero parte del problema e non già soluzione alla stabilità del paese. Carrie Lam affondata in vestitino verde senza forma, la montatura degli occhiali di metallo e la baia della città sullo sfondo, mostrava la sicurezza di un venditore ad un mercato rionale, “tutto è sotto controllo, potete tornare ad investire, le garanzie individuali sono tutelate per legge, perché il nostro paese ha il meglio di due diversi sistemi, storie e culture.” 

I mercati sanno bene cosa fare, nessuno ha gradito la disposizione di legge della Lam che osta l’uso del passaporto inglese per i residenti nati prima della transazione del 1997 e pretende che i titolari ne facciamo pubblica denuncia, così i capitali sono in fuga.

Poi abbiamo un’altra donna, Khing Hnin Waiced, istruttrice di fitness birmana vestita alla maniera di un video d’aerobica anni 80 di Jane Fonda, che in diretta televisiva si esibiva in esercizi di fitness ad uso dei telespettatori. Dietro di lei si affannavano soldati del Tatmadaw, l’esercito birmano, nell’atto di portare a termine il golpe militare. Il significato di quelle immagini era chiaro quanto quella della Lam, con il solo difetto di essere più grossolano: tutto poteva continuare come prima

L’ultima immagine è quella di Amanda Gorman, una bellissima giovane poetessa afro americana, vestita di un’abbagliante cappotto giallo canarino a marca Prada, che durante la cerimonia del giuramento di Joe Biden, nuovo presidente degli Stati Uniti, ci ha letto una sua poesia dal titolo “The hill we climb” ovvero “La collina che scaliamo”. La Gorman, dice Natalia Aspesi, scrive male ed è forse vero, eppure ci ha incantato con le sue parole, con le mani che si muovevano lente e la certezza che non avremmo potuto credere alle promesse di speranza di cui era autrice, ma lo sogno valeva il biglietto.

La Lam racconta che non può tenere i soldi in banca per le restrizioni imposte dal governo americano ai funzionari esecutivi di Hong Kong, però ci dice che quello è il miglior luogo al mondo dove investire. La Jane Fonda birmana ricorda che tutto può andare avanti come prima, nel paese che offre salari tra i più bassi del mondo grazie a cannoni e camionette e tanta pace al Nobel pacifista deposta. Infine l’Occidente, che ci racconta una bella fiaba con la poetessa glamour tanto esotica quanta occidentale (!).

Tre testimonianze e tre inviti a credere ad un modello di stabilità del mondo. L’Asia nella modalità Lam e Waiced di prevaricazione del diritto e delle libertà dei singoli, e l’occidente che abbaglia con il sogno di un universo possibile.

L’obiezione di un conoscente attivo sostenitore della Cina attraverso l’istituto Confucio, il soft power cinese in occidente, è che l’ipocrisia del nostro pensiero è evidente. Ci dichiariamo portatori di valori universali e siamo responsabili di sfruttamento coloniale, disprezzo per la diversità, volontà di dominio, protagonisti della distruzione del pianeta. La critica del sinofilo riguarda il nostro scarto tra le intenzioni e realtà, obiezioni plausibili che nulla risolvono sul tema ben più prosaico del rispetto delle regole, della civiltà del diritto e la tutela dei diritti individuali e d’impresa del tutto assente in Cina.

Il vecchio Occidente funziona e corregge meglio i propri difetti, perché riflette e si interroga sulla sua storia e sulle sue colpe al prezzo più alto come dimostra la Gorman a Capitol Hill e dei mille eccessi e sciocchezze dei gruppi BLM e LGTB, cosa che non può avvenire Pechino o Yangoon, mentre Hong Kong, si noti bene, non è più cosa nostra.  

11 febbraio

 

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