Nel febbraio del 1979, solo quattro anni dopo la caduta di Saigon, accadde l’impensabile.

Il Vietnam, appena uscito da una guerra brutale contro gli Stati Uniti, si trovò improvvisamente sotto attacco. Non da parte dell’imperialismo americano, ma dalla Cina di Deng Xiaoping, che lanciò una brutale “spedizione punitiva” lungo la frontiera settentrionale. Le truppe cinesi invasero le province di Lang Son e Cao Bang. Il Vietnam, colpevole di aver rovesciato il regime dei Khmer Rossi – alleato di Pechino – in Cambogia, venne colpito per il suo eccesso di indipendenza.

E fu allora, in uno dei più sorprendenti paradossi della Guerra Fredda, che Hanoi cercò il sostegno degli Stati Uniti. Non per ideologia, ma per necessità.
Il Vietnam socialista chiese aiuto a Washington, che solo pochi anni prima bombardava il delta del Mekong. Gli americani non risposero con le armi, ma la memoria di quel gesto, di quell’implorazione silenziosa – realistica, disincantata, strategica – segna ancora oggi la grammatica sottile della politica vietnamita.

Quarantasei anni dopo, il paesaggio si è capovolto.
Xi Jinping arriva ad Hanoi accolto con ogni onore: bandiere rosse, fiori, dichiarazioni comuni. È la sua seconda visita in meno di due anni. Non c’è più lo spettro del maoismo militante, ma quello di una Cina industriale, che parla la lingua del credito, della logistica e dell’integrazione silenziosa. Durante l’incontro con il primo ministro Phạm Minh Chính, vengono firmati quaranta accordi bilaterali: infrastrutture, AI, green economy, e soprattutto il potenziamento delle ferrovie tra Lao Cai e Hai Phong, lungo il corridoio logistico più sensibile del paese.

In gioco non c’è solo il commercio, ma la struttura stessa dell’economia vietnamita del XXI secolo. Una struttura in cui le imprese cinesi controllano porzioni crescenti della manifattura locale: Foxconn, GoerTek, BOE, Luxshare Precision. Tutte presenti nel nord del Vietnam, tutte legate a forniture globali verso gli Stati Uniti, tutte usate per eludere i dazi imposti da Trump e dai suoi successori. Così il Vietnam si ritrova oggi trampolino invisibile del commercio sinocentrico, mentre gli Stati Uniti, suo primo mercato di esportazione, valutano nuovi dazi anche contro di lui, sospettando – a ragione – che le merci “Made in Vietnam” siano spesso solo assemblate con componenti cinesi. Il Dipartimento del Commercio americano indaga, ammonisce, minaccia. Ma sa bene che tagliare il Vietnam significherebbe amputare una parte essenziale della catena globale. Il Vietnam, dal canto suo, si guarda bene dal prendere posizione. Accoglie Xi Jinping, ma firma accordi di libero scambio con l’Unione Europea. Sviluppa logistica ferroviaria con la Cina, ma partecipa a esercitazioni navali con Australia e Giappone. Compra tecnologia da Pechino, e armi da Israele. È ambiguità? Sì. Ma è anche raffinatissima politica asiatica.

Chi vuole capire il Vietnam di oggi deve ricordare il Vietnam del 1979. Non c’è un alleato per sempre, né un nemico definitivo. C’è solo il compito millenario di sopravvivere tra imperi, sfruttarne le faglie, danzare sul crinale. L’Occidente cerca fedeltà (?!). L’Asia cerca equilibrio (!!). Gli americani chiedono chiarezza. Il Vietnam risponde con infrastrutture. Nel porto di Hai Phong, ogni giorno partono container verso Long Beach, carichi di dispositivi elettronici assemblati in fabbriche vietnamite a capitale cinese, destinati al mercato americano. È una catena perfettamente funzionale ed anche un paradosso strategico. Xi Jinping ha parlato di “futuro condiviso” e “fratellanza socialista”. Ma dietro ogni formula si cela un cavo elettrico, un chip, una tratta ferroviaria. E se nel 1979 si chiedeva aiuto agli Stati Uniti per non cadere sotto l’ombra del dragone, oggi si accetta l’acciaio ed i prestiti.

Ma non è sottomissione. È un’altra curva del fiume della storia. 

Il Vietnam non ha cambiato schieramento. Ha solo ricordato a tutti che la politica, in Asia, è una forma di danza lenta e precisa troppo complicata per Tersite alla Casa Bianca.

16 Aprile

Dati 2024

  • Commercio totale di beni: 149,6 miliardi di dollari (+20,4% rispetto al 2023).

  • Esportazioni USA verso il Vietnam: 13,1 miliardi di dollari (+32,9%).

  • Importazioni USA dal Vietnam: 136,6 miliardi di dollari (+19,3%).

  • Saldo commerciale a favore del Vietnam: 123,5 miliardi di dollari, in aumento del 18,1% rispetto all’anno precedente. United States Trade Representative

Principali categorie di scambio

  • Importazioni USA dal Vietnam: macchinari elettrici, mobili, calzature, abbigliamento.

  • Esportazioni USA verso il Vietnam: macchinari elettrici, plastica, residui dell’industria alimentare, semi oleosi

Nuovi dazi USA sul Vietnam (aprile 2025)

Misure introdotte

Impatto sul Vietnam

  • Il Vietnam è stato colpito da un dazio del 46% sulle esportazioni verso gli Stati Uniti, effettivo dal 9 aprile.

  • Le autorità vietnamite hanno definito la misura “ingiusta” e hanno richiesto un rinvio di 45 giorni, offrendo in cambio l’eliminazione dei dazi sulle importazioni USA.

  • La proposta vietnamita è stata respinta dall’amministrazione Trump, che ha sottolineato la necessità di affrontare anche le pratiche non tariffarie.

  • A seguito dell’annuncio, l’indice azionario vietnamita VN-Index ha registrato un calo del 7%, il più significativo degli ultimi vent’anni.PwCReutersWikipedia

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