Rodrigo Duterte, il presidente delle Filippine, ritiene di avere le idee chiare.

Le basi statunitensi nelle Filippine sono alla scadenza della concessione e la loro permanenza deve essere messa in discussione. Il caudillo non vuole dichiarare i termini della questione, non spiega esattamente quale sia la sua strategia, ma l’ipotesi più accreditata è che il presidente stia mettendo il proprio paese all’asta, si perdonerà l’espressione colorita, tra gli Stati Uniti e Pechino ed ai suoi investimenti.

Duterte è il primo presidente delle Filippine nato nell’isola di Mindinao nel sud del paese, ha un passato di giovane comunista che oggi vuole minimizzare ed è stato un amministratore locale. Eletto nel 2016 è amato dalla popolazione più povera, che lo vede come un giustiziere delle tante iniquità di un paese. Le Filippine hanno più di dodici milioni dei propri cittadini emigrati all’estero ed un reddito pro capite di soli 3500 $ annui, che lo lascia ai margini della grande crescita asiatica.

Il caudillo deve però affrontare le crescenti difficoltà nel paese, tanto feroce nel combattere la criminalità nelle strade di Manila con la polizia autorizzata a uccidere chiunque si macchi del più piccolo crimine, l’economia paga la recessione dovuta alla pandemia di Wuhan e la politica estera risulta fragile nei confronti della Cina, quando afferma che non è possibile un confronto con Pechino nel mare di fronte a casa. Infine, i tanto promessi investimenti cinesi nel paese tardano ad arrivare.

L’opinione pubblica filippina, membri del parlamento e della corte suprema, fino all’esercito considerano inaccettabile l’occupazione cinese di aree di pesca in acque filippine, dove i cinesi hanno costruito isole artificiali come fosse un cattivo film di fantascienza e le pattugliano con navi da guerra.

Il video della marina argentina che affonda un peschereccio d’altura cinese d’altura davanti alle proprie coste risulta tra i più visualizzati tra gli utenti filippini e spiega l’elevato grado di frustrazione a Manila.

Forte con i deboli e debole con i forti, Duterte vede crescere nel paese una forte opposizione nazionalistica così da apparire in evidente difficoltà.

Nell’agenda di Tony Blinken, il nuovo segretario di stato americano, il caudillo Duterte, l’allievo di José Maria Sison, il maoista filippino indagato dalla Corte L’Aia per odiosi crimini contro l’umanità, è sicuramente tra i primi problemi dell’area Asean.    

20 febbraio

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