Michel Houellebeq piace o non piace, ma capisce le cose come sono e quando avvengono e questo è dono raro.

Chi lo apprezza ne riconosce il talento di fiutare il tempo in cui si vive e di descriverlo in modo disincantato, spesso sgradevole. Le sue opere sono caratterizzate da uomini testimoni di un mondo in disfacimento, sullo sfondo una modernità liquida fatta di tecnologia, solitudine, turismo sessuale, pillole antidepressive, internet, Islam, dipendenza da protesi digitali. Nei libri di Houellebeq nessuno ne esce bene ed il protagonista sarà sempre sconfitto dalla piccola e grande storia.

Chi lo detesta lo fa per le medesime ragioni ed opposte conclusioni magari non lo dice, nessuno nega che scrive bene, non lo si sopporta perché è impossibile provare simpatia per qualcuno dei suoi personaggi. La pretesa rimane un poco infantile, ma così è che stanno le cose, i lettori leggono ciò che scelgono e non vogliono sorprese.

Houellebeq sfugge le categorie, ma comprende il tempo e spiega i meccanismi della società in forma di letteratura, nel merito penso al suo romanzo “Sottomissione” del 2015. Sullo sfondo di una piccola storia, la disgregazione della società francese e dei suoi valori costitutivi e Républicains e poi l’emergere di un Islam moderato, latore di una formula tanto semplice quanto efficace, fatta di fede, famiglie ed unità, che tenta e corrompe il protagonista, un disincantato professore universitario.

Houellebeq racconta l’insinuante e morbida penetrazione dell’Islam in Francia, attraverso un accordo politico con una sinistra ambiziosa e svogliata, piegata al motto dell’universalismo e poi il mare nero dei petroldollari sauditi che sommerge la Sorbona, il feudo del nuovo corso.

Al netto delle differenze e della narrazione, lo schema proposto da Hoeullebeq è assimilabile al modello cinese del “soft power”. La sfida ad un Occidente aggirato e mai sfidato direttamente, blandito e piegato con l’accordo con forze politiche nazionali distratte o corrotte, il controllo di importante assetti strategici, nel romanzo il dicastero delle politiche familiari, qui le telecomunicazioni e la gestione rete e dati, fino all’occupazione dei centri di formazione e cultura. Nell’invenzione letteraria i sauditi e la Sorbona, nella realtà l’Istituto Confucio, organicamente dipendente dal governo cinese e senza limiti di investimenti nei Sancta Santorum occidentali della formazione superiore.

Fino qui le suggestioni ed ora la cronaca.

Un paio di giorni fa abbiamo letto con piacere, con buona pace di Xi e di qualche intellò, che il governo svedese ha imposto la chiusura dell’ultimo Istituto Confucio ancora aperto in Svezia.

Le chiusure erano iniziate nel 2015, quando l’allora vice cancelliere Astrid Soderbergh aveva annunciato che la creazione di istituti che sono finanziati da prebende di un’altra nazione, nel quadro di una università, era una pratica inaccettabile. Christopher Wray ex direttore dell’FBI ha testimoniato al Congresso americano lo scorso anno, affermando che gli istituti “offrono una piattaforma per diffondere la propaganda del governo cinese o del Partito comunista cinese, per incoraggiare la censura, per limitare la libertà accademica”.

Per fortuna il tema della decadenza dell’occidente è vecchio quanto l’occidente, si pensi all’alter ego di Houllebeq nel romanzo, ovvero lo scrittore e poeta Joris-Karl Huysmans, ma anche il Kostantinos Kavavis della poesia i “I barbari” che si conclude con questi abbaglianti versi:

E ora, che sarà di noi senza Barbari?

Loro erano comunque una soluzione

29 aprile 20

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