La presentazione di Jia Guide, nuovo ambasciatore di Pechino in Italia, è avvenuta nel tripudio della festa per il capodanno cinese tra dragoni volanti e lampade nella Chinatown di Milano. Ci dicono che Guide sia un diplomatico vecchio stampo, che non ama l’atteggiamento aggressivo delle nuove feluche d’Oriente ed ami mostrare la faccia buona della Cina fatta di folklore vestito da cultura. Fino a qui tutto bene, facciamo finta di credere ad un mondo di lanterne rosse e draghi di carta, per poi chiederci cosa sanno i cinesi dell’Italia, oltre le bottiglie di vino rosso e le borsette griffate. L’importazione di beni di consumo comporta la creazione di uno standard di gusto globale, che nulla dice o spiega, meglio chiedersi cosa possono sapere i cinesi del nostro mondo e cultura. 

Figlio del novecento che crede nei lumi delle lettere, mi ostino a giudicare uomini e tempi dalle loro letture. Allan Bloom, il grande critico letterario, affermava che se gli individui vogliono conservare la capacità di esprimere opinioni e giudizi autonomi, è importante che continuino a leggere per sé stessi.

Letture dico, non quella bizzarria chiamata podcast creata ad uso dei pigri di cuore e di anima, che lasciano ad altri la lettura, che è un riverbero di corde sensibili tra sussulti ed interruzioni.  Ascoltare chi legge nel tempo della mobilità tra casa ed ufficio, palestra, supermercato o pedicure spoglia senso alla lettura, ponendo il difetto al servizio della virtù e privandolo di senso, “Desinit esse remedio locus, ubi quae fuerant vitia, mores sunt” – “Non c’è rimedio quando le cose che un tempo sono state vizio, sono divenute di moda”, Seneca.

Scopro così che i libri ammessi dalla censura sono pochi. Il best seller delle vendite italiane è ancora Marcovaldo di Italo Calvino edito nel 1963. Le avventure di un pover’uomo ingenuo di campagna trasferito in città con sei figli a carico ottimo per tutte le stagioni, perchè è buono ed innocuo.

Nel secondo dopoguerra in Italia fiorì una letteratura sul tema dell’inurbamento davvero varia e composita, colta e popolare, buona e scadente, tantissima e diversa. Calvino con i suoi racconti a forma di fiaba sullo “stress della vita moderna”, mi perdoni il sagace Ernesto Calindri, ma anche Luciano Bianciardi della “Vita agra” ed il suo ribellismo anarchico, il teatro canzone del duo Giorgio Gaber e Sandro Luporini con la loro “Com’è bella la città”, alla maniera di Jacques Brel, fino alla modesta e tragica biografia del terrorista Prospero Gallinari, che nel suo “Un contadino nella metropoli, Ricordi di un militante delle brigate rosse” dove si racconta lo strappo tra campagna e città, aspettative e fallimento generazionale.

Temi superati e vecchi di cinquant’anni, ma ancora buoni per i cinesi, che migrano coatti verso la costa a decine di milioni verso orrendi quartieri costruiti nelle più spregiudicate operazioni di Evergrande & Co, la società parastatale di iniziative immobiliari a risparmio privato.

Nella letteratura si ritrova il senso del bello e la ricerca del giusto, ma ai cinesi è dato da leggere il più dolce ed innocuo libro sulla vita moderna e sull’impossibilità della pienezza dell’essere. In quanto a noi, rimane il monito di Sir Francis Bacon, “Non leggere per contraddire o confutare, né per credere o dare per scontato, e nemmeno per trovare parole o discorsi, bensì per ponderare e riflettere”. 

13 febbraio

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