“Gli Stati Uniti hanno regalato venti anni alla Cina impegnati com’erano alla lotta all’Islam integralista e salafita”, me lo dice Kamal, sorseggiando un té alla menta in un centralissimo albergo del centro di Milano, l’unico che dispone di un samovar in città dove prepararlo seguendo la formula tradizionale.

“Da quando è entrato in vigore il WTO, gli americani non hanno considerato i cinesi come una minaccia, ma un’opportunità”, mi dice sorridendo, “le principali aziende americane quotate al Nasdaq hanno moltiplicato i profitti, delocalizzando e facendo produrre ai cinesi, principalmente i responsabili di questa fase sono state le amministrazioni democratiche, che poi sono i principali benefattori dei finanziamenti delle stesse società”.

Kamal, un manager di passaporto iraniano ed inglese lavora per un’importante società che si occupa di energia, ha le idee chiare, ci conosciamo da tanti anni, quando studente del politecnico lo incontrai in un torneo di scacchi, mi sconfisse in trenta mosse ed ha un punteggio da maestro, siamo diventati amici.

“Gli Stati Uniti e gli occidentali si sono preoccupati per le fibrillazioni degli ultimi cinquanta anni del petrolio, dei loro padroni e di tutti i temi dell’energia fossile e poi da lì ai temi delle energie rinnovabili, creando figure singolari e paradossali, da un vice presidente americano come Gore, a Greta all’ultima icona pop che piace ai salotti radical, dimenticandosi della Cina.

Gli acquisti di fuoriserie e di beni di lusso a danno del partner occidentale, erano le sole cose che vedeva il socio delle joint venture, ma ad un livello più grande, le vicende avevano ben altro significato e peso. Come la rana nella pentola di Chomsky, incapace di capire il suo destino perché la temperatura sale poco alla volta fino a morirne, le corporation occidentali, piccole o grandi che fossero, hanno ceduto poco a poco il lavoro e produzioni a che lo faceva meno pagato e senza diritti sindacali, senza rendersene quasi conto che gli scippi andavano ben oltre le fuoriserie e le amanti a nota spesa, ma erano lavoro, innovazione e brevetti e capacità di crescita, fino ad esserne stritolati da un sistema legale che favorisce sempre il socio cinese.

Solo così si spiega il malessere del populismo di ceti che guardavano a sinistra e solo così si può comprendere che quella ricerca di protezione, sicurezza e lavoro potesse trovare in Trump negli Usa, o Johnson in UK., perché oggi un padre in occidente non può garantire quanto ha ricevuto a sua volta come figlio e la cosa pesa come un macigno.”

“Il Wto non funziona, deve essere corretto e molto capitale-lavoro deve tornare indietro e non fare sconti alla Cina o a chi se ne importa poco o nulla delle regole (per gli imprenditori) e dei diritti umani (per le anime pie), di sicuro ci vorranno altri vent’anni, ma almeno la linea è certa, quasi inevitabile, Bloomberg ha scritto che la Cina non sarà più la fabbrica del mondo e Shenzo Abe, il premier nipponico, tra gli ultimi atti del suo governo, ha finanziato per oltre tre miliardi di dollari il rientro a casa di tante produzioni delocalizzate in Cina”, Kamal sorride.

“La questione araba ed il petrolio?” chiedo. “L’apertura degli stati del golfo ad Israele chiude un tempo e se avvia uno nuovo, con buona pace dell’Iran, servono nuovi capitali e vengano pure da Tel Aviv, perché la transizione verso la modalità elettrica è in corso e si perfezionerà tra pochi anni, non è più tempo di guerre locali tra bande e terrorismo nelle città europee”.

 Anni fa Kamal mi disse che il suo nome in persiano vuol dire eccellenza e completezza, rara corrispondenza esatta di un epiteto ad un uomo.

 

15 settembre 20

 

 

 

 

 

 

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