“Allora parliamo di libertà e di democrazia, Imam. E facciamolo così. In uno dei suoi primi discorsi a Qom lei disse che il nuovo governo islamico avrebbe garantito libertà di pensiero e di espressione a tutti, compresi i comunisti e le minoranze etniche. Ma questa promessa non è stata mantenuta e ora lei definisce i comunisti «Figli di Satana», i capi delle minoranze etniche in rivolta «Male sulla Terra».

Lei prima afferma e poi pretende che io spieghi le sue affermazioni. Addirittura pretenderebbe che io permettessi le congiure di chi vorrebbe portare il paese all’anarchia e alla corruzione: come se la libertà di pensare e di esprimersi fosse libertà di complottare e corrompere. Quindi rispondo: per più di cinque mesi ho tollerato, abbiamo tollerato, coloro che non la pensavano come noi. Ed essi sono stati liberi, assolutamente liberi, di fare tutto ciò che volevano, godersi in pieno le libertà che gli concedevamo. Attraverso il signor Bani Sadr, qui presente, ho perfino invitato i comunisti a dialogare con noi. Ma in risposta essi hanno bruciato i raccolti di grano, hanno dato fuoco alle urne degli uffici elettorali, e con armi e fucili hanno reagito alla nostra offerta di dialogare. Infatti sono stati loro a riesumare il problema dei curdi. Così abbiamo capito che approfittavano della nostra tolleranza per sabotarci, che non volevano la libertà ma la licenza di sovvertire, e abbiamo deciso di impedirglielo.”

Così Oriani Fallaci quando intervistò l’Iman Khomeini. Grande giornalismo e coraggio nell’affrontare il chierico che aveva piegato la Persia al suo pensiero.

Spesso le parole dei diavoli si assomigliano quando incrociano le domande più sincere, poco conta se i diavoli abbiano vinto oppure perso.

Sempre italiano è Riccardo Orizio, un giornalista dalla storia leggendaria e misteriosa, due splendidi libri ed una collaborazione con il Corriere della Sera, prima di ritirarsi giovanissimo in Africa, nel Masai Mara National Reserve ad occuparsi d’ospitalità e progetti sostenibili

Orizio intervistò Menghistu il padrone dell’Etiopia per quattordici anni e lui raccontò la sua storia.

“Sono un militare, ho fatto quello che ho fatto solo perché il mio Paese doveva essere salvato dal tribalismo e dal feudalesimo: se fallì, fu solo perché fui tradito. Il cosiddetto genocidio non era altro che una mera guerra in difesa della rivoluzione e di un sistema dal quale tutti beneficiarono. Sono sopravvissuto a nove tentativi di omicidio: il Paese era nel caos, un gruppo sociale i cui legami col passato erano particolarmente forti attaccava gli operai che volevano il progresso, chiedendo alla capitale, o ci difendi o ci dai le armi affinché possiamo difenderci. Fu una battaglia, tutto quello che ho fatto è stato combattere”.

Tradimento e difesa della patria e dei suoi valori, Khomeini e Menghistu tanto diversi ed uguali, da posizioni diverse ed opposte – teocratici e socialisti – iraniani ed etiopi – parlano della salvezza della nazione di fronte al nemico interno, al tradimento al complotto.

Lo scorso 9 aprile abbiamo ascoltato per la prima volta dal canale della CNN le parole del generale Zaw Min Tun, generale del Tatmadaw birmano responsabile del golpe del 1 febbraio. Immutabile come i suoi predecessori, il portavoce dei golpisti, ha parlato per oltre un’ora di tradimento della carta costituzionale, di brogli elettorali ed inganno allo stesso un popolo che è sceso nelle strade per farsi massacrare senza sapere la verità.

Zaw Min Tun ha ricordato che Aung San Suu Kyi, che è agli arresti domiciliari e che deve affrontare diversi capi d’imputazione, ha infranto i regolamenti Covid-19, sono evidenti reati di corruzione e concussione ed ancora, vai a capire perché mai, ha importato illegalmente delle radio walkie-talki. L’accusa più grave, tuttavia, è però la violazione della legge sui segreti ufficiali del paese, che prevede una pena detentiva fino a 14 anni.

“Quello che è successo è a causa della corruzione a livello nazionale e degli errori nelle procedure a livello statale e noi stiamo evidenziando i fatti”, ha detto Zaw Min Tun. “Aung San Su Kyi è una persona ben nota sia in Myanmar che nel mondo e non la accuseremo senza alcun motivo.”

Per giustificare il colpo di stato, il generale ha denunciato le frodi elettorali nel voto di novembre che ha dato all’NLD della San Suu Kyi una vittoria con l’83% dei voti ed un mandato per perseguire il suo programma di riforme, che includeva una nuova riforma costituzionale per limitare il potere dei militari, che detengono per diritto il 25% dei seggi parlamentari e la nomina dei più importanti ministeri.

“Ci saranno morti quando reprimeremo le rivolte, ma non spareremo senza disciplina”, ha dichiarato Zaw Min Tun, che ha ribadito si terranno nuove elezioni in futuro, ma ha avvertito che la versione militare della democrazia forse non sarà un sistema liberale in stile occidentale. “Il paese democratico che stiamo costruendo è quello adatto alla nostra storia e geografia. Lo standard di democrazia in Myanmar non sarà lo stesso di quelle occidentali”.

Sembrano le parole di Menghistu ad Orizio.

“Crede nella democrazia?

La democrazia funziona in Europa. Le tradizioni in Africa sono diverse. Guardi l’Etiopia oggi. Dicono di aver introdotto il sistema multipartitico, ma ciò che hanno fatto veramente è riportare il tribalismo. Ognuno sta con la propria tribù o religione, non col partito.”

Ieri come oggi, noi occidentali a fraintenderci sulla democrazia e la libertà nel mondo e poi la voce degli altri, da sempre unica e diversa.

21 aprile

 

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