Il “cappio di seta” o meglio la trappola del debito è pratica ben nota ed ampiamente documentata.  Si tratta di politiche di prestito della Cina a paesi poveri, che risultano poi schiacciati da interessi insostenibili, così da dover cedere il controllo di asset strategici e addirittura in un caso una porzione del proprio territorio. I mutui rispondono al paradigma “capitali per risorse” a paesi che hanno rating di credito bassi e hanno difficoltà a ottenere finanziamenti dal mercato finanziario internazionale. I mutui realizzano infrastrutture di cui hanno bisogno i paesi più poveri, la Cina aiuta le proprie aziende a procurarsi gli appalti ed accede a condizioni di favore a risorse minerarie, naturali ed ai porti, in alcuni casi i prestiti sono in molti casi garantiti da risorse naturali.

Attraverso questo metodo la Cina raggiunge il duplice obiettivo di penetrazione economica e leva strategica.

 I rischi dei paesi debitori alla Cina sono molti elevati secondo il Fondo Monetario Internazionale e Jonathan Hillman, direttore del Reconnecting Asia Project presso il Center for Strategic and International Studies, crede che questi progetti sono più che una strategia finanziaria, “L’approccio della Cina è flessibile sotto almeno tre aspetti. In primo luogo, la Cina è disposta a collaborare con qualsiasi governo, che include anche partecipanti con conflitti attivi, come Siria e Yemen. In secondo luogo, la Cina è spesso disposta a costruire in base al budget e con requisiti meno rigorosi per soddisfare tutele sociali e ambientali. In terzo luogo, la Cina è flessibile nel negoziare i termini di pagamento. È disposto ad accettare risorse naturali, ad esempio, e quando i prestiti non possono essere rimborsati, a volte è disposto a concedere tempo. La centralizzazione e la flessibilità forniscono più modi per arrivare al “sì” e aiutano ad arrivarci più velocemente. Tutti questi strumenti amplificano gli incentivi a breve termine per l’avvio di progetti, ma possono anche mascherare rischi a lungo termine. A livello globale, la Cina come leader di una nuova forma di globalizzazione.”

L’ultimo capitolo del cappio di seta è riportato dalla Reuters, nel quale si racconta l‘accordo di partecipazione alla rete elettrica è stato firmato martedì tra Electricite du Laos (EdL) di proprietà statale e China Southern Power Grid Co che prenderebbe il controllo della maggioranza della nuova Electricite du Laos Transmission Company Limited (EDLT), la notizia secondo Reuters rimane riservata e solo fonti riservate hanno divulgato all’agenzia di stampa la notizia.

“La Banca Mondiale ha stimato a giugno che i livelli del debito laotiano raggiungeranno il 68% del PIL nel 2020, dal 59% dello scorso anno. L’agenzia di rating Moody’s ha avvertito il mese scorso di “una sostanziale probabilità di insolvenza a breve termine”. Gli obblighi di servizio del debito del Laos nel 2020 sono di circa $ 1,2 miliardi con prestiti da banche commerciali e obbligazioni thailandesi in scadenza a settembre e ottobre, ha detto Moody’s, ma le riserve estere erano solo $ 864 milioni a giugno, secondo la banca centrale. Tra le aziende che soffrono già di ritardi nei pagamenti ci sono le aziende cinesi dietro a progetti idroelettrici che non hanno rimborsato come previsto, hanno detto le persone a conoscenza dell’accordo China Southern. La Cina stava anche valutando la possibilità di posticipare parte del pagamento totale del servizio del debito del Laos, hanno detto due persone con conoscenza diretta. Il governo cinese non ha risposto immediatamente a una domanda sulle discussioni.”

“Dare alla Cina una partecipazione mette il Laos sulla buona strada per diventare una pseudo-provincia della Cina”, ha detto Brian Eyler, direttore del programma per il Sud-est asiatico del think tank Stimson Center a Washington.

Di diverso avviso un breve articolo pubblicato da Ispi on line pubblicato lo scorso 24 luglio dal titolo “Chinese Debt and the Myth of the Debt-Trap in Africa” di Yunnan Chen per Overseas Development Institute (ODI), un think tank indipendente sullo sviluppo internazionale e le questioni umanitarie, nel quale si afferma che:

“Queste tendenze hanno sollevato timori sul prestito cinese come tattica geostrategica e coordinata, indebitando deliberatamente i paesi africani per ottenere il controllo sui beni chiave, in quella che è diventata un meme di “diplomazia della trappola del debito”. Ciò afferma che i prestiti cinesi sono garantiti da asset strategicamente importanti, dalle risorse minerarie ai progetti portuali, e il debito viene utilizzato deliberatamente per sfruttare o estrarre vantaggi strategici dai paesi indebitati, compresi i sequestri di beni, quando non sono in grado di soddisfare gli obblighi di debito. Contrariamente alle percezioni di predazione, un altro aspetto della Cina come creditore è quello della flessibilità e dell’indulgenza di gran lunga maggiori nel trattare il debito.”

Dell’autrice Yunnan Chen abbiamo poche informazioni in rete ovvero che è un analista dei rapporti tra Cina ed Africa, studi alla John Hopkins e precedentemente ad Oxford ed un viso pacioso da chi mangia troppi fritti pagati da Pechino.

Una prima analisi sulle contribuzioni al Odi ci dice poco, ma talvolta non è neppure necessario conoscendo le dinamiche relazioni di molti think tank occidentali.

Basta poco per produrre vapore e confondere la navigazione dei più distratti, “Le questioni belliche seguono il Dao dell’inganno.” Scriveva Sun Zu il noto stratega cinese, “Perciò, se si è capaci bisogna mostrarsi incapaci, e se si è attivi bisogna mostrarsi inattivi. Quando si è vicini bisogna dare l’impressione di essere lontani, e quando si è lontani quella di essere già vicini. Si tenti il nemico facendolo sentire in vantaggio, e lo si schiacci fingendosi confusi […] Questi sono i mezzi con cui uno stratega si impone, sempre che non li divulghi in precedenza”.

Hillman conclude: “La BRI (Beld and Road initiative) è anche vincolata dagli imperativi politici interni della Cina. La BRI mira ad aumentare il flusso di merci e persone, ma la prepotente presenza di sicurezza della Cina vicino alle zone di confine sta soffocando l’attività commerciale. I controlli sui capitali cinesi, pur favorendo gli investimenti in uscita per i progetti relativi ai BRI, sono ancora inefficienti ed eccessivamente restrittivi per gli investimenti in entrata. La BRI aspira a promuovere lo scambio di idee e conoscenze, ma la censura cinese è in aumento. Tutte queste tendenze contraddicono l’obiettivo espresso dalla BRI di migliorare la connettività globale. Il dilemma di Pechino è che una maggiore connettività richiede la rinuncia a un certo controllo.”

23 settembre 20

 

 

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