Tassare di una frazione ogni importante transazione finanziaria per equità sociale e destinare i fondi ad iniziative di redistribuzione.

La Tobin tax è sogno infranto della sinistra antiglobalista, anche se la sua storia è in poco più complessa.

Formulata nel 1972 da James Tobin premio Nobel per l’economia nel 1981, si proponeva di stabilizzare i mercati finanziari del tempo, attraverso una tassa sulle transazioni dei mercati valutari del tempo ed evitare speculazioni.

Nella sua ultima intervista al giornale tedesco Der Spiegel nel 2001, James Tobin si lamentava dell’uso strumentale della sua idea e del suo nome.

Non ho niente a che vedere con questi sedicenti rivoluzionari anti globalizzazione”, affermava, “io sono un economista e come la maggior parte degli economisti sono un sostenitore della libertà di scambio. Inoltre sono un sostenitore del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della WTO, istituzioni contro le quali si batte il movimento. Abusano del mio nome”

io avevo proposto di conferire il ricavato alla Banca Mondiale. Ma non era questo il mio obiettivo. L’imposta sugli scambi internazionali doveva servire per diminuire le fluttuazioni dei tassi di cambio. L’idea è piuttosto semplice: ad ogni cambio da una valuta ad un’altra, si preleverebbe una piccola tassa, diciamo mezzo punto percentuale del montante. Quindi, si scoraggerebbero gli speculatori, perché molti investitori piazzano a brevissimo termine i loro soldi nelle valute. Se questi soldi vengono improvvisamente prelevati, i paesi devono alzare drasticamente i tassi di interesse in modo da mantenere attraente la valuta. Tuttavia, alti interessi sono spesso disastrosi per l’economia locale, come mostrato dalle crisi in Messico, del sudest Asiatico e della Russia negli anni novanta. La mia tassa ridarebbe alle banche di emissione dei paesi piccoli un margine di manovra e si opporrebbe abbastanza bene al dominio dei mercati finanziari. 

Tobin pensava alla sua tassa come mezzo di finanziare i “progetti di miglioramento del mondo” ma il reddito monetario non era il punto focale.”, sarebbero stati i governi a decidere la destinazione dei ricavi.

Se la Tobin tax è stata oggetto di riflessioni in Occidente per oltre trent’anni, il pensiero della tassazione delle transazioni finanziare ha trovato in Cina una nuova vita.

Il tema è dibattuta dalla metà degli anni dieci, quando il governatore della banca centrale cinese Yi Gang ne propose l’introduzione, successivamente l’argomento è tornato alla ribalta nel 2020 ed ancora in questi giorni, ponendo la ragion d’essere su motivazioni che paiono ben lontane dalle ragioni delle origini.

Tassare per evitare speculazione sui cambi quando gran parte della fortuna del paese risiede nelle esportazioni, ma anche controllo dei mercati e creazione di riserve valutarie per affrontare ogni possibile turbolenza o esserne capace di crearne.

Dell’auspicio di James Tobin e di tanti altri, perché la tassa potesse aiutare le lenire le sofferenze della disuguaglianza per la sinistra, o la più spregiudicata speculazione per i global di formazione keynesiana, non rimane nulla, se non la volontà di controllo del partito comunista e dei suoi burocrati. 

Con buona pace di chi guarda ad Oriente come il sole dell’avvenire.

23 maggio

 

 

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