Conosco Lawrence Osborne?

Parlare con lui una sera al Neil’s Tavern sulla Sukhumvit Soi 23 tanti anni fa ed essersi scambiati un’amicizia su un social non credo sia sufficiente. 

Non conosco Lawrence Osborne perché un incontro fortuito di una sera non vuol dire nulla. Un contatto su un social ha poco a che fare con l’intimità di un’amicizia e ricorda la cortesia di scambiarsi un biglietto da visita in altri tempi.

Entrando da Neil’s non si poteva non osservare quell’uomo più alto della media, vestito di lino come vorremmo essere uno scrittore che ha deciso di vivere a Bangkok. Era cordiale quanto curioso di chiacchierare con un’umanità tanto varia come se ne incontra nei pub della città degli angeli. Sapendo chi fosse non fu difficile avvicinarsi, conoscerlo e passare una serata con lui bevendo birra Leo parlando di tutto e di nulla.

Da allora, saranno passati quindici anni, ho seguito la sua produzione letteraria per rivederlo e salutarlo un’ultima volta alla Milanesiana di Elisabetta Sgarbi, quando parlò di un suo libro.

Per chi come me frequenta l’Asia più calda ed afosa della Thailandia, Osborne rimane una guida virgiliana. La sua prosa racconta l’umanità scannata di expat che si godono degli ultimi anni del primato di un occidentale nelle terre del sud. Laggiù i nostri denari valgono ancora qualcosa, così è ancora possibile vivere come vorrebbe un borghese di mezza età nato a Londra, Parigi, Francoforte o Milano, una bella casa ad un costo accettabile con un poco di servitù – per rendere meno gravosa la quotidianità – e la facilità nell’incontrare donne giovani ed attraenti.

Osborne racconta un’umanità consapevole e rassegnata nel vivere i nostri ultimi giorni da farangs (Occidentali con la O maiuscola in lingua thai), tanto diversa dalla Thailandia descritta da Houellebecq, il nichilista che nel suo “Plateforme” descrive il suo uomo occidentale verso il limite ultimo del sesso e della morte e dissoluzione.

I protagonisti di Osborne si lasciano piuttosto blandire ma non conoscono la rabbia. In alcune pagine del suo capolavoro “Bangkok days“, edito in Italia per Adelphi, descrive gli incontri amorosi con una giovane prostituta part time di nome Porn con delicatezza, e ci fa sorridere quando si chiede come non sia possibile non amare un paese dove molte ragazze portano un nome così.

In una recente intervista al Foglio per l’uscita del suo nuovo libro, Lawrence ricorda che vive un buon momento, le sceneggiature per il cinema sono ben pagate guadagnando molto di più di scrivere libri. Pare un uomo soddisfatto. La borsa piena gli ha regalato un poco di stabilità. Adelphi ha così pubblicato il suo ultimo libro, “Il mondo di vetro”, che è piaciuto a molti, meno a Lucy Atkins, critico letterario del Times, che lo ha trovato imperfetto.

A suo dire, l’erede di Greene è sublime nel descrivere Bangkok e le sue atmosfere brulicanti ed umide, squallide e lussuose, tra mendicanti, templi, palazzi, luci al neon e fantasmi come sfondo del suo romanzo, ma debole a descrivere e tratteggiare i personaggi di una storia di poco spessore.

Io la penso diversamente. Il mondo di vetro mi ha riportato ancora una volta a Bangkok, la vera protagonista del romanzo, che annulla e stordisce le voci e le anime interiori dei protagonisti e sovrasta ogni vita e respiro, cosa questa che Lawrence, l’amico di una sera, conosce molto bene.

“Westerners choose Bangkok as a place to live precisely because they can never understand it” – Lawrence Osborne

23 settembre

 

 

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