Il desiderio di mollare gli ormeggi e migrare, mantra romantico di un Occidente ora svogliato, ora stanco e depresso. La scoperta del sud est asiatico del diciannovesimo secolo fatto di viaggi avventurosi, mistero e sensualità, per colorare i sogni di intere generazioni nell’invenzione della fuga. 

La letteratura ha fatto la sua parte da Mouhut a Salgari, dalla Duras fino a Houellebecq, la linea è definita e certa. Henri Laborit, che fu biologo e sceneggiatore di Alain Resnais, nato per ricordarci che esistono vite diverse e meravigliose, sulla fuga scrisse un saggio che formò la mia generazione. “In tempi come questi la fuga è l’unico mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare“, formidabile e dannato Laborit. L’Oriente “inventato” direbbe Edward W. Said, che del demistificare il nostro occhio sull’Asia ne ha fatto una brillante carriera accademica e saggistica. Sono fatti noti, quasi scontati e di qualche autentico interesse descrittivo o sinottico, meritevole forse di un’analisi letteraria, come ha fatto recentemente Attilio Brilli in un bel libro a forma di strenna natalizia edito dal Mulino sul fascino dell’Oriente.

Così, l’altro giorno quando un conoscente mi ha voluto domandare dell’Indocina e poi delle notti languide di Bangkok e Luang Prabang, conoscendo alcune vicende personali che mi avevano portato laggiù, sono stato colto da una improvvisa stanchezza, fino ad erigermi a retore stoico. Ho così suggerito al malcapitato le parole di uno dei poeti che mi sono più cari, chiudendo a lui ogni mia porta d’Oriente, come fece Dante Alighieri, dando voce a Virgilio: “Voi credete forse che siamo esperti d’esto loco; ma noi siam peregrin come voi siete”,  giacché ognuno di noi ha la propria storia. 

 

La città di Konstantinos Kavafis

Hai detto: “Per altre terre andrò, per altro mare.
Altra città, più amabile di questa, dove
ogni mio sforzo è votato al fallimento,
dove il mio cuore come un morto sta sepolto,
ci sarà pure. Fino a quando patirò questa mia inerzia?
Dei lunghi anni, se mi guardo attorno,
della mia vita consumata qui, non vedo
che nere macerie e solitudine e rovina”.

Non troverai altro luogo non troverai altro mare.
La città ti verrà dietro. Andrai vagando
per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere.
Imbiancherai in queste stesse case. Sempre
farai capo a questa città. Altrove, non sperare,
non c’è nave non c’è strada per te.
Perché sciupando la tua vita in questo angolo discreto
tu l’hai sciupata su tutta la terra.

29 marzo

 

 

 

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