Quale la versione dei cinesi? Oltre il virus, quello è fatto di cronaca di questi giorni, che cosa pensano di noi occidentali?

Cosa vogliono e soprattutto cosa dicono, perché non abbiamo risposte interessanti alle domande sciocche che facciamo loro.

Sulla cronaca la faccenda è simile a quanto dice una madre alla figlia con le mani sporche di marmellata ed alla risposta non sono stata io, scegliere tra la colpa, il dolo o il pari a patta sarà faccenda dei grandi della terra.

Ma di noi cosa pensano? Abbiamo qualcosa di noi che non vogliamo ascoltare?

Impossibile chiederlo ai cinesi che conosciamo in Italia, sono spesso nati qui ed hanno passato la vita a lavorare quasi fosse un’etica religiosa, chi fra loro ha studiato lo ha fatto da noi. Le narrazioni dei padri ricordano quelli degli italiani d’America, un mondo dove storia e mito sono fusi in un materiale insondabile.

Ho trovato dei testi di storia cinese adottati nelle scuole tradotti e riportati dal China Youth Daily, le cui tesi ed opinioni sulle guerre dei trattati ingiusti dell’ottocento riporto in modo fedele ma personale, mi perdoneranno gli autori cinesi in questa mia ricostruzione, ma danno voce alla “parola del diavolo”, per utilizzare una bella espressione di Riccardo Orizio, la più bella firma in esilio del giornalismo italiano.

Noi occidentali abbiamo aperto vie commerciali versa la “terra della seta” fino dai tempi dell’antica Roma, nei secoli successivi i commerci sono aumentati e per ultimi sono arrivati i missionari alla ricerca di nuovi fedeli.

Matteo Ricci il più famoso dei missionari cristiani, che operò in Cina alla fine del sedicesimo secolo, aveva idee chiare, comprese che la “Chiesa dovesse essere cinese con in cinesi ed in comunione con Roma”, ma scoprì che per i cinesi “gli stranieri non hanno nulla da insegnare, perché barbari”. Al tempo non si hanno memoria tali missioni ed ambascerie in Europa ed al Papa a Roma, si ha la certezza di esplorazioni verso occidente da parte de “l’impero di mezzo” nell’oceano indiano e poco altro.

La Cina bastava a sé stessa. Quando i contatti diventarono sempre più stretti i cinesi rifiutarono le innovazioni tecniche, che arrivarono dall’occidente ed incrementarono le loro esportazioni di lacca, seta, porcellana, carta pregiata ed alla richiesta di libero scambio con l’impero britannico risposero negativamente e quanto portato in dono gettato via, come dal crudo resoconto del 1793 di Lord George Macartney. In quello stesso secolo, Adam Smith nella Ricchezza delle Nazioni ammirava l’ingegno cinese ma comprese il limite della rigidità del modello e l’immobilità che ne determinò poi il declino.

Alla fine l’occidente si munì di un ulteriore arma decisiva, quasi inconsapevolmente, una teoria sulla superiorità dell’uomo occidentale, il Systema naturae di Karl Linneaus e sul primato della nostra cultura rispetto ad un mondo arretrato e conservatore il cinese o primitivo l’africano, il mondo sarebbe stato predato per i successivi due secoli senza provarne colpa.

Il passaggio decisivo nei rapporti avvenne nella prima metà dell’ottocento, quando la Compagnia delle Indie Occidentali incrementò un redditizio commercio di oppio con la Cina. I meccanismi di diffusione ricordano quelli della cocaina centocinquanta anni dopo. I primi a farne uso furono le classi benestanti, addirittura la corte dell’imperatore, per poi diffondersi a tutto il paese.

Si può legittimamente affermare che la Compagnia delle Indie Occidentali inglese e la Regina Vittoria furono i più grandi spacciatori di sostanze stupefacenti della storia, perché fu il sequestro di 1.300 tonnellate di oppio effettuato dalla polizia imperiale, che farebbe impallidire qualsiasi narcos sudamericano che determinò l’inizio della guerra. Durò ventuno anni dal 1839 al 1860 con la vittoria degli occidentali e la creazione dei porti franchi, tra cui Hong Kong.

Gli inglesi chiamarono in aiuto altre potenze per sostenere la pretesa militare, la Francia, la Russia zarista e gli Stati Uniti e i benefici commerciali della sconfitta militare cinese furono condivisi successivamente con altri paesi come la Prussia, la Danimarca e l’Olanda, la Spagna, il Belgio e l’Italia.

Della rivolta dei boxer del 1899-1900 ne abbiamo fatto un film di Hollywood nel 1963 dal titolo “55 giorni a Pechino”, con David Niven, Charlton Heston e la splendida Ava Gardner, per loro fu la naturale ribellione contro la penetrazione colonialistica in Cina ed il consumo dell’oppio. I cinesi vedevano la propria popolazione infiacchirsi nella tossicodipendenza, mentre gli inglesi pensavano il commercio come un esercizio di libera impresa e dominio. La Cina aveva una storia diversa dall’Africa, con una storia, una lingua ed un’identità comune e non si sarebbe assoggettata facilmente, nei due anni vi furono oltre 150.000 morti tra i civili cinesi.

Guglielmo II salutò il contingente tedesco all’atto della partenza per la guerra con queste parole:

“Mille anni fa, gli Unni di Attila si sono fatti un nome che con potenza è entrato nella storia e nella leggenda. Allo stesso modo voi dovete imporre in Cina, per mille anni, il nome «tedesco, di modo che mai più in avvenire un cinese osi anche solo guardare di traverso un tedesco.”

Ora ne sappiamo un poco di più di cosa studiano e pensano i cinesi.

8 maggio 20

 

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