Le Isole Salomone sono diventate il centro del mondo australe e pacifico. 

Pochi giorni fa, la squadra di calcio si è giocata la qualificazione alla fase della coppa del mondo di calcio con la Nuova Zelanda. Partita storica per un paese che è formato da qualche centinaia di isole in mezzo all’Oceano Pacifico, ed abitato da circa mezzo milione di persone.

La partita è andata male per le Salomone, è finita 5 a 0 per la Nuova Zelanda.

Ben oltre i campionati di calcio, le Isole Salomone suscitano la crescente preoccupazione delle cancellerie del quadrante australe-pacifico, per essere il primo paese dell’area a firmare un accordo di cooperazione militare con Pechino.

Nel passato abbiamo ricordato le isole Kirabati, altro stato del’area abitato da poco più di centomila persone, che aveva ricevuto denaro ed aiuti dalla Cina in cambio della rottura delle relazioni con Taiwan, ma il caso delle isole Salomone sembra più complesso ed insidioso.

Alle Salomone abbiamo un conflitto interno al paese tra Guadalcanal, l’isola dove si trova la capitale Honiara, e Malaita l’isola più popolata, che ha manifestato in oltre vent’anni il desiderio di maggiore autodeterminazione. Abbiamo il primo ministro delle isole Salomone Manasseh Sogavare, il cui capo dello stato rimane la Regina Elisabetta come membro del Commonwealth, che si è scagliato contro il fallimento del modello liberale nel mondo, affermando che le Salomone possono decidere per il loro meglio e stringere un accordo di cooperazione militare con la Cina.

Il trattato, i cui contenuti non sono noti, comporterebbe l’aiuto di Pechino in caso di richiesta di Honiara con truppe militari e di sicurezza. Sogavare guarda Pechino ed il suo modello di controllo sociale, arrivando a proporre l’oscuramento di Facebook, mentre il governo provinciale Malaita riceve finanziamenti dagli Stati Uniti.

Gli accordi Sogovare – Cina sono la ragione dei violenti  disordini scoppiati nella capitale lo scorso novembre nel quartiere di Chinatown, popolato da immigrati cinesi, dato alla fiamme come nel 2006.

In questi giorni Sogovare ha urlato il suo dispezzo nei confronti dei paesi occidentali storicamente legati alle Salomone e per le loro preoccupazioni in seguito all’accordo militare stipulato con Pechino.

L’apertura dell’ambasciata statunitense a Honiara a distanza di oltre trent’anni dalla sua chiusura mostra la crescente attenzione dell’amministrazione Biden al quadrante australe-pacifico, ma sembra che i giochi siano fatti. Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti pagano il prezzo del disinteresse per le Salomone. Le forze politiche d’opposizione di Honiara annunciano la prossima creazione di una base navale cinese nell’isola di Tulagi, mentre a Camberra si alza la voce di chi vorrebbe invadere le Isole Salomone per impedire la creazione di una base militare cinese a poca distanza dall’Australia.

Un sorta di opzione “Putin like & Ukraine” rimandata al mittente da parte del governo australiano, mentre un ex ministro neozelandese dichiara che le Salomone sono uno “stato canaglia”.   

1 aprile

(L-R)Solomon Islands Prime Minister Manasseh Sogavare, Solomon Islands Foreign Minister Jeremiah Manele, Chinese Premier Li Keqiang and Chinese State Councillor and Foreign Minister Wang Yi attend a signing ceremony at the Great Hall of the People in Beijing, China October 9, 2019. REUTERS/Thomas Peter

 

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