Sono recluso in una stanza di meno di quattordici metri quadri per le prossime due settimane.

Non posso aprire la finestra e la porta della camera d’albergo è chiusa, se volessi uscire il mio braccialetto elettronico con gps avviserebbe chi mi controlla ed il mio cellulare comincerebbe a suonare.

Viaggio per lavoro in tempo di Covid in aerei senza passeggeri per oltre 80% della capienza, un pilota mi ha detto che ci sono cinque milioni di piloti commerciali al mondo ed oggi meno di un milione tra loro vola portando sopravvissuti come me da una città ad un’altra.

Ogni volta che si avvicina la data di un volo inizia la danza dei tamponi che devono essere effettuati poche ore prima, Milano, Dubai o Giakarta, ma questa volta è stato diverso perché dovevo andare ad Hong Kong a rinnovare un visto entro la fine dell’anno e non sono ammesse deroghe.

Paese complicato perchè non vi entra tanto facilmente, devi essere indigeno o lavorarci con un visto, diversamente non ci metti piede.

Un tampone alla partenza a Dubai, poi all’arrivo vengo portato con gli altri viaggiatori ad un gate separato. Personale sanitario vestito come degli astronauti mi fanno un nuovo tampone, aspetto seduto su una seggiola di plastica bianca l’esito, passeranno oltre otto ore prima che mi sarà data la possibilità di entrare, sono negativo come alla partenza.

Ho ricevuto una lista di alberghi Covid dove poter effettuare la quarantena, la mia provenienza deve essere un problema se ricevo per tre volte una risposta negativa, poi trovo chi mi risponde di sì ed è un’albergo senza pretese sull’isola. Mi fanno arrivare in albergo senza restrizioni, presumo che la mia doppia negatività alla partenza ed all’arrivo li tranquillizzi un poco, prendo un treno dal Chek Lap Kok Airport, ho poco più di un’ora per arrivare in hotel ed un braccialetto gps al polso.

Mi ritrovo all’ultimo piano di un albergo al Kowloon e sono il solo cliente al piano, la camera è di quelle più comuni ed il prezzo da chi offre prezzi stracciati in tempo di Covid, settantacinque euro al giorno quando non ne sarebbero bastati il doppio un anno fa, pagamento anticipato.

Non vedrò persona viva per i prossimi quattordici giorni, nessuno salirà a rifarmi la stanza ed il solo contatto che avrò con il mondo esterno sarà un robot che mi porterà la colazione e poi i pranzi, che acquisterò attraverso un’applicazione con il cellulare a ristoranti che devono chudere prima delle 18, perchè la città vive la tensione di una infezione a “three digits” su una popolazione di sette milioni.

Il robot per il servizio in stanza è illuminato di blu e rotea a 360 gradi, a comando si apre un sportello a forma di serranda che contiene il cibo e mi parla in mandarino, l’ennesimo insulto ad Hong Kong ed al cantonese, la cosa mi diverte e riesce di mettermi di buon umore per qualche minuto.

I documenti per il rinnovo del visto sono stati consegnati oggi al robot tuttofare che li ha portati alla reception, un delegato andrà a portarli all’ufficio immigrazione.

Vorrei potermene andare una volta rinnovato il visto, prendere il primo volo per l’Italia dovessi fare tre tratte, ma le FAQ sulla quarantena (il report delle domande frequenti) non contemplano la possibilità di uscire da questa stanza prima di due settimane.

Il cibo che ho ordinato è arrivato freddo, devo cercare di essere paziente. 

16 dicembre

 

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