La transizione elettrica nell’automotive è destinata a fallire?

Credo di no, ma a fine ottobre del 2022 possiamo dire che i tempi si dilateranno.

Solo tre anni fa il futuro dell’automobile sembrava segnato. Elettrico prima per pensare all’idrogeno poi, addio ai motori endotermici in poco più di una decina d’anni con una rivoluzione epocale, che avrebbe squassato l’industria automobilistica perché da 2035 in Europa non si sarebbero più prodotte autovetture a motore termico.

Ci sarebbe stato da ripensare il mondo. Centinaia di migliaia di persone da riqualificare per creare nuove figure professionali, progettare le città e trasporti, ma anche riflettere sul diritto alla mobilità privata che sarebbe stato minato per le classi meno abbienti, le stesse che un giubbino giallo avevano invaso Parigi per protestare contro chi voleva bandire i motori diesel.

Sostituire un parco autovetture del continente europeo per pensare ad un mondo ad emissioni zero.

I giochi sono globali e Pechino si è preparata per tempo. I dati riportano che oggi la Cina vale 2.1 ml diventando il secondo produttore al mondo dopo gli Usa e superando la Germania. In una recente intervista Carlos Tavares, il ceo di Stellantis, ha sottolineato le difficoltà del mercato europeo, ricordando che l’arrivo dei produttori cinesi rappresenterà una svolta nella competizione globale ed il gioco non è equo ma asimmetrico.

L’automotive elettrico vuol dire batterie con i materiali di base litio, cobalto e nickel che sono in mani cinesi.  Purdy e Castillo per il Brooking Institute hanno osservato: “La Cina è l’attore globale dominante nella raffinazione di minerali strategici. Affina il 68% di nichel a livello globale, 40% di rame, 59% di litio e 73% di cobalto. È anche un attore strategico in fasi successive della catena di approvvigionamento, come la produzione di componenti delle celle della batteria. Conta per la maggior parte della produzione mondiale di componenti ricchi di minerali per celle di batterie, compreso il 70% di catodi, che sono la componente più importante e possono rappresentare la metà del costo di a cella prodotta, 85% di anodi, 66% di separatori e 62% di elettroliti. In particolare, la Cina detiene il 78% della capacità di produzione mondiale di celle per batterie EV, che sono allora assemblato in moduli che vengono utilizzati per formare un pacco batteria. Il paese ospita anche tre quarti delle megafabbriche mondiali di batterie agli ioni di litio. Questo rende la Cina il maggior consumatore dei minerali che raffina.”

Poi abbiamo la cronaca di che scavalca la geo-strategia dei materiali e delle nazioni.  Oggi fare un pieno di energia elettrica per un’autovettura costa il 160% in più dello scorso anno ed i conti non tornano, mentre il New York Times ha ricordato che viaggiare da una costa all’altra negli Stati Uniti con una macchina elettrica è una sfida al comune buon senso ed alla pazienza, mancando i basilari servizi di rifornimento.

Ma più di ogni cosa è la dipendenza cinese che spaventa. La strategia russa sul gas ci ha insegnato tanto sulla fragilità dei modelli di supply chain da paesi illiberali e così la Cina e le sue ambizioni egemoniche globali.

Il ripensamento europeo sulla funzionalità dei motori di nuova generazione è una buona notizia perchè contrasta l’egemonia tecnologica statunitense e cinese sulla mobilità elettrica, mentre la prospettiva di carburanti sintetici a basso impatto ambientale è davvero vicina. 

 27 ottobre

 

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