“Ogni due giorni un uomo viene ucciso da un elefante in Sri Lanka, ma ogni giorno si conta l’abbattimento di più di un elefante”, chi mi racconta di questa guerra silenziosa è Federico Borella, fotografo italiano ed autore insieme al collega Tristen Rouse dell’articolo “Humans and elephants are struggling to coexist. Both are dying at alarming rates”, pubblicato sul sito della CNN lo scorso 21 aprile.

La morte di Paolo ucciso da un elefante è tanto abnorme ed incomprensibile da indurmi a cercare delle risposte, o meglio delle spiegazioni.

Ad Aragum bay, dove Paolo ha perduto la vita, gli elefanti selvatici rappresentano un’attrazione turistica, vi sono agenzie che organizzano safari fotografici anche se non garantiscono un incontro con i pachidermi, che vivono nascosti nella boscaglia.

Tuttavia, una ricerca più attenta di notizie, ci descrive una difficile convivenza tra uomini ed elefanti tanto che vi sono centinaia di pagine in rete che rispondono alla ricerca. 

Una coesistenza di secoli abrasa dai cambiamenti climatici che ha inaridito sorgenti e costretto le due specie ad avvicinarsi fino a scontrarsi. L’incapacità del governo di gestire l’emergenza, trasferendo gli animali in area isolate, la creazione di efficaci recinti elettrificati ed i modesti risarcimenti ai contadini predati dai pachidermi creano rabbia e frustrazione. 

L’uccisione degli elefanti sarebbe punita fino alla condanna a morte del responsabile, l’elefante è un simbolo del paese, ma più comunemente viene sanzionata con una multa.  

Il conflitto ha trovato un nome in HEC, Human Elephant Conflict e viene percepita come una drammatica emergenza. 

Lo Sri Lanka ha la più grande densità di elefanti in Asia, circa il  10/20% della popolazione continentale abita una superficie pari al 2% ed i pachidermi si trovano nel 60% delle aree del paese. Tale sovraffollamento comporta che circa il 5% della popolazione degli elefanti viene uccisa ogni anno.

Ho contattato via mail Federico appena letto il suo articolo scrivendo di quanto era accaduto a Paolo pochi giorni prima. Mi ha risposto dopo poche ore mostrando grande sensibilità nel dedicarmi del tempo e raccontarmi di questa strana guerra. 

Federico, vincitore di importanti premi internazionali, è un fotoreporter di grande talento che vanta collaborazioni con il New York Times, National Geographic, Newsweek, Time Magazine, National Geographic e la CNN, ed ha passato mesi in Sri Lanka per documentare la carneficina. 

Gli uomini che occupano terreni per un uso agricolo una volta foresta e la voracità degli elefanti che si nutrono dei raccolti, assaltano le fattorie dei contadini dove sono conservate le derrate. I primi ammazzano i secondi a fucilate o con ordigni esplosivi di fortuna nascosti in esche, ad esempio dei frutti come gli ananas ed i secondi attaccano gli uomini quando ne hanno la possibilità, aggredendoli nei campi o demolendo le loro case in muratura. 

“Una terra per due diverse specie”, mi racconta Federico, con esiti drammatici. Nel 2022 si sono contati 160 uomini uccisi e circa 500 elefanti abbattuti, senza contare i feriti da entrambi le parti, che non sono più una notizia per i notiziari locali. Abbiamo un numero di elefanti uccisi ragguardevole, ma il sentimento comune di fronte alla morte ed al ferimento di tante persone è una certa consapevole rassegnazione. Come se la tragedia fosse scritta nel destino”. Mi piace Federico perchè ha passione quando racconta del proprio lavoro, la testimonianza esatta di una tragedia, che colpisce uomini ed animali e l’impegno di raccontare al meglio quanto sta succedendo, fino all’amara consapevolezza che la soluzione è lontana.

Parlare con Federico mi ha aiutato a comprendere ed arrivare a farmi la sola domanda ragionevole sulla morte di Paolo. 

Cosa ci faceva Paolo laggiù? I luoghi sembravano idilliaci ed a buon mercato a 3,5 euro a metro quadro (più di 22 ettari a meno di 800.000 euro), ma nessuno ha detto che quel fondo era un campo di battaglia e lui è morto in una guerra che non era la sua.

La mia ricerca è conclusa, puoi andare Paolo, non ho risposte da cercare più di quante ne ho avute in queste settimane. 

“Alla fine di questa frase, comincerà la pioggia.
All’orlo della pioggia una vela.

Lenta la vela perderà di vista le isole;
in una foschia se ne andrà la fede nei porti
di un’intera razza.

La guerra dei dieci anni è finita.
La chioma di Elena, una nuvola grigia.
Troia, un bianco accumulo di cenere
vicino al gocciolar del mare.

Il gocciolio si tende come le corde di un’arpa.
Un uomo con occhi annuvolati raccoglie la pioggia
e pizzica il primo verso dell’Odissea.”

 

“At the end of this sentence, rain will begin.
At the rain’s edge, a sail.

Slowly the sail will lose sight of islands;
into a mist will go the belief of harbors
of an entire race.

The ten-years war is finished.
Helen’s hair, a gray cloud.
Troy, a white ashpit
by the drizzling sea.

The drizzle tightens like the strings of a harp.
A man with clouded eyes picks up the rain
and plucks the first line of the Odyssey.”

 Derek Walcott, Archipelagoes, Collected Poems 1948-1984

 

Paolo riposi in pace nel mare delle Andamane dove le sue ceneri sono state disperse.

30 aprile

 

 

 

 

 

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