La Cina è tra gli stati più grandi del mondo e contende all’India il primato del numero degli abitanti.

Il tema della gestione della complessità etnica è ben compreso da Pechino, che nella sua costituzione al quarto articolo enuncia:

“Tutti i gruppi etnici della Repubblica popolare cinese sono uguali. Lo Stato protegge i diritti legittimi e gli interessi delle minoranze etniche e sostiene e sviluppa un rapporto di uguaglianza, unità e l’assistenza reciproca tra tutti i gruppi etnici della Cina.”

Ma questo principio costituente è rispettato? Esiste poi un collante “culturale” che riesce a sostenere la pretesa?

I gruppi etnici riconosciuti sono ben 56 e sono denominati Mínzú (民族), il principale “Han” ( 汉族) rappresenta il 92% della popolazione complessiva.

Le testimonianze dal paese da fonti come il Pontificio Istituto Missioni Estere, mostrano quotidianamente che le diversità etniche e culturali sono avversate dal potere centrale, recentemente si è molto parlato di uiguri e tibetani, ma sono molteplici le iniziative di pulizia etnica operata da Pechino, recentemente le iniziative contro lingua mongola rappresenta un ultimo doloroso capitolo.

Siamo debitori all’analisi di Claudio Magris per comprendere il senso e la forza di un vero Impero in tempo moderni, Magris nel classico “Il mito asburgico” e successivamente nello splendido “Danubio”, spiegava la forza di un Impero come entità sovranazionale e universalistica, dove prevalesse il senso dell’ordine, del progresso e della gerarchia. Dove ai rappresentanti delle diverse nazionalità era dato parlare nella propria lingua e spiegare le proprie ragioni e richieste legittime.

In tempi più recenti i paesi della disciolta Unione Sovietica hanno subito il fascino centripeta della Russia, della lingua e della cultura, esercitata in modo naturale, esito di un’egemonia culturale gramsciana oltre che economica, come riportato dall’analista politico Rocco Ronza.

Questo non avviene il Cina, dove la diversità diviene devianza e l’ossessione del controllo è il paradigma del potere centrale, dai campi di rieducazione della comunità iugura di milioni di persone, alla creazione di una figura grottesca come il Panchen Lama un leader buddista tibetano di nomina politica di Pechino, ma anche alla persecuzione di fedeli cristiani ed alla distruzione delle loro chiese.

Timothy Brook, eminente sinologo canadese, curatore della fondamentale The History of Imperial China (6 vols). Cambridge: Harvard University Press (2008-), afferma nell’ultimo “Il leopardo di Kublai Khan“, edito da Einaudi quest’anno, che le ambizioni colonialistiche della Cina sui paesi vicini differiscono dalle intenzioni frutto delle dichiarazioni di facciata, così la stessa occupazione di aree di lingua turcofona nell’estremo occidente si realizza nel nome Sinkiang o “Nuovi territori o frontiera” non molto differente da come gli stessi inglesi definirono l’occupazione di Hong Kong.

Controllo e sanzione, sono un dogma del regime cinese, in ambito etnico, religioso, ma ora anche economico, come riportato dalla direzione del Partito Comunista Cinese che imporrà da ora delle direttive sulla gestione economiche delle imprese private, assunzioni e licenziamenti.

C’è ancora qualche imprenditore che guarda con interesse la Cina per fare un Joint Venture?

Milano 19 settembre 20

 

 

 

 

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