Un vecchio amico italiano, che ha fatto della Cina la sua seconda patria da oltre trent’anni, mi ha sempre detto che vi sono argomenti che non devono mai essere affrontati durante un soggiorno a Shangai o Pechino, perché produrrebbero l’imbarazzo di chi ascolta o anche peggio, temi come Hong Kong, il Tibet, la vicenda di piazza Tienanmen o più semplicemente la rappresentanza democratica.

Il tema è paradossale e semplice nello stesso momento e si conclude con una semplice domanda. Per quali ragioni i cittadini cinesi accettano un modello politico autocratico e con limitate libertà economiche? La risposta è che il mondo nuovo ed interconnesso da catene di produzione globali ha prodotto un’impetuosa crescita economica, che stordendo le coscienze critiche, ha fatto ritenere che vi possa essere un’altra via alla democrazia liberale.

https://www.csis.org/features/public-opinion-china-liberal-silent-majority

Tema rilevante che torna d’attualità nei giorni del boicottaggio occidentale all’altra grande autocrazia, che fu rossa, ed alle sue drammatiche conseguenze economiche. Joshua Cooper Ramo, Ceo di Kissinger Associates in un’intervista a Diplomat nel 2016 affermò. “Non c’è obiettivo più importante dello sviluppo economico della creazione di una classe media prospera, fiduciosa e impegnata. Tale obiettivo riflette la verità politica secondo cui una grande classe media fornisce la stabilità e il lungo termine che consentono di investire in sistemi politici, ambientali, sociali e tecnologici che hanno un rendimento positivo.”

Sono passati pochi anni e pare una generazione. Il Beijing consensus, un modello unico ed irripetibile di crescita e consenso interno ad un paese in un tempo che definiremmo post cold war è definitivamente alle spalle. La lezione della Sars 2 dei laboratori di Wuhan finanziati dalle organizzazioni governative statunitensi, l’aggressione russa dell’Ucraina, un paese arretrato e mal governato dove il reddito pro capite e pari a quello di un cittadino della Guinea equatoriale ma dotato di un esercito con deterrenza atomica, rappresenta la fine di un mondo in espansione per come lo abbiamo conosciuto.

Secondo lo stesso Ramo, “La sfida per qualsiasi modello di sviluppo è adattarsi col passare del tempo alle crescenti richieste di partecipazione. La legittimità del modello dipende da questo tipo di accettazione, ed è vero a Pechino come lo è a Washington o Berlino. I problemi specifici della gestione del conto capitale o della democratizzazione, ad esempio, riguardano meno la scelta di un modello di Washington o Pechino e più la ricerca di un equilibrio adeguato tra apertura e chiusura.”

Più prosaicamente possiamo pensare che il consenso interno le due maggiori autocrazie si fonda su ragioni diverse.

La dinastia comunista imperiale cinese deve garantire crescita e nuovo benessere, così che l’espansionismo di Pechino si poggia marginalmente sulla conquista territoriale di porzioni di terra contese, ma piuttosto sull’assunzione e sul controllo di risorse alimentari, minerarie ed idriche. La retrograda oligarchia ex Kgb ed associati non ha il medesimo problema. Putin & Co. hanno vissuto per anni nei palazzi del potere non facendo nulla se non combattere le spinte liberali delle città più colte e filo occidentali, mentre il solo scopo dei cittadini russi della grande Russia è stato sopravvivere. Ignari ed indifferenti al mondo nuovo e globalizzato, al nuovo benessere che attraversa una porzione rilevante del mondo.

Gleb Pavlovskij, consigliere di Putin dal 1996 al 2015, in una recente intervista al Corriere della Sera ha affermato: “Negli anni ’90 e nei primi anni Duemila, si è creata un’economia di sopravvivenza in cui le élite e la popolazione sono divise. Quest’ultima chiede solo non di svilupparsi o progredire, ma di sopravvivere. Finché le élite lo garantiscono, possono fare quello che gli pare. È questo che gli osservatori occidentali faticano a comprendere”.

https://www.corriere.it/cronache/22_giugno_10/ex-dissidente-gleb-pavlovskij-putin-non-piu-l-uomo-solo-comando-pace-difficilef1c37f58-e8ff-11ec-a288-5db7a6019886.shtml

La Russia odierna è il paese della controriforma, nell’accezione storiografica di Benedetto Croce, ovvero dell’autoritarismo e totalitarismo, senza che mai vi sia mai stata un’effettiva riforma sociale inclusiva e democratica.

Così nell’affermazione stessa della controriforma – la rivoluzione passiva – osserviamo il paradosso di una simbologia rossa da guerra fredda.

23 giugno

 

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