Lo stile narrativo di routine di Hollywood ha perso il suo fascino in Cina”, ha detto al China Daily Zhi Feina, professore all’Accademia nazionale cinese delle arti. “Non c’è nulla di nuovo in questa narrazione, e c’è troppa correttezza politica”, ha detto, “il divario tra l’orientamento ai mezzi e ai valori di queste narrazioni e le esigenze del pubblico principale della Cina sta diventando eccessivo, quindi la sua routine non funzionerà”.

La formula politicamente sterilizzata di Hollywood annoia la Cina e perde consensi per il mondo. Il più potente degli strumenti di egemonia culturale si azzoppa, perde slancio e capacità di seduzione. Il tempo wokeness – in cui nulla si può più mostrare o scrivere perché nessuno si senta offeso – è stucchevole ed annoia. L’editoriale di Mariarosa Mancuso sul Foglio del week end annuncia il ritorno del sesso esplicito in “Povere creature”, un film di Hollywood con Emma Stone, è una nuova epifania di vecchie libertà. È un bel segnale che il pendolo statunitense oscillante tra libertà e puritanesimo liberticida – l’espressione è di Michele Capozzi – ritorna per gravità nel campo della creatività un poco ribelle.

Robert Hughes fu autore una trentina di anni fa di un saggio dal titolo, “La cultura del piagnisteo, la saga del politicamente corretto“, una raccolta di tre conferenze di 5000 parole, lo ricordava orgogliosamente, che mostrava un America fragile e suscettibile, incoerente perché ipocrita. Hughes citava Wystan Hugh Auden nel suo “For the time being: a Christmas Oratorio” del 1942, “La Ragione verrà sostituita dalla Rivelazione … La conoscenza degenererà in un tumulto di visioni soggettive … gli scarabocchi dei bambini innalzati al di sopra dei più grandi capolavori … L’idealismo sarà scalzato dal materialismo … sviato dal normale sfogo nel patriottismo e nell’orgoglio civico e familiare, il bisogno delle masse di un Idolo invisibile da venerare si incanalerà in alvei totalmente asociali, dove nessuna forma di istruzione potrà raggiungerlo … La Giustizia, come virtù cardinale, sarà rimpiazzata dalla Pietà, e svanirà ogni timore di castigo.”

Così si annunciava il declino dell’Occidente, vergognoso del proprio predominio economico, sociale e culturale.  Hughes è stato buon profeta, ci siamo stracciati le vesti e ci siamo dannati per le nefandezze del colonialismo, lo sfruttamento indispensabile ed indifferente delle risorse, il capitalismo ed il razzismo, quando la storia mostra analoghe vicende tra i nostri concorrenti culturali, l’islam e l’orda mongola e cinese, con la sola differenza dell’efficienza del nostro occidente, che ha schiantato ogni rivale, si pensi a Plauto: Homo homini lupus. 

Rileggere Allan Bloom può essere altrettanto utile. Il suo “The Closing of the American Mind” del 1987, annunciava il mondo nuovo e multiculturale, disposto ad ogni apertura, che ci avrebbe precipitato verso un impoverimento spirituale. Bloom osservava che gli studenti delle università d’elite americani – futura classe dirigente del paese – erano certi che la verità fosse relativa e che solo l’assunzione di una posizione relativistica aprisse le menti.

Questa “cultura dell’apertura”, affermava Bloom, avrebbe sostituito una precedente, che si fondava sull’idea che esiste una verità e che su di essa, si fondano i diritti “naturali”. Scrive Antonio Petagine: “Bloom osserva che in quest’ultimo contesto ci si aspettava che fosse l’aspirazione alla verità, non la sua messa in dubbio, a far nascere l’attitudine all’apertura mentale … Se infatti nulla può essere considerato vero, si intima, certo, di rispettare le diverse culture, ma lo si fa, in fondo, perché nessuna di esse vale veramente … Il relativismo millanta di essere la cultura adatta a favorire l’apertura e la democrazia, in realtà produce chiusura mentale, spegne il desiderio dello studio e mina le basi dell’ordine socio-politico su cui il modello democratico americano si regge.”  

L’inganno è determinato non nel riconoscere pari dignità ad ogni essere umano, cosa questa figlio del diritto naturale, ma all’idea ed accettazione che ogni idea abbia dignità pari valore. Altrove e distanti da noi, sono gli stessi diritti naturali individuali ad essere negati o irrisi da chierici islamici o sbirri comunisti, mentre a casa nostra le anime pie tacciono e sfilano per Gaza, ma non per Aleppo ed i giovani di Teheran.  

Bloom nemico del relativismo nichilista al pari di Ratzinger, il primo intellettuale studioso di Platone ed omosessuale come Auden, il secondo eletto al soglio di Pietro a Roma. Nulla di tanto distante e vicino, ossimoro necessario per capire i nostri tempi. 

E’ vero ci siamo un poco divertiti, riportando una notizia dal tabloid del partito comunista cinese per ritornare al Foglio e fare una riflessione in libertà sui limiti dell’Occidente in questi primi anni del nuovo millennio, perchè non abbiamo sopportato una giovane poetessa nera, affondata in un cappotto giallo di Prada, darci lezioni di wokeness il giorno dell’insediamento di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti. Per concludere in cronaca, siamo nell’anno delle elezioni americane, rivediamo Donald Trump, risposta sgonfia alle mattane del “do or don’t” degli attivisti e degli intellettuali progressisti, mentre Biden, che avrebbe fatto bene sui temi economici, vede la sola possibilità di vincere nell’insistere sull’erosione dei diritti di comunità minoritarie (falso), ma egemoniche in termini culturali (la poetessa in giallo che in questi quattro anni ha firmato contratti pubblicitari di prodotti etici al pari di Taylor Swift e fasulli come la nostrana Ferragni). 

Il paradosso della stanchezza del consumatore cinese, il meno libero del mondo, evidenzia come il cinema di Hollywood, nel labirinto delle liceità, è la prima evidenza alla necessità di una nuova egemonia culturale fatta di solidi valori ed ingegno, con buona pace di Amanda Gorman, la poetessa teen e pop in giallo a cui noi preferiremo sempre il vecchio Wystan Hugh Auden.  

6 febbraio

 

Emma Stone in “Povere Creature” di Yorgos Lanthimos, in Italia dal 2024

 

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