Il 10 maggio 2025, il Corriere della Sera pubblica un articolo firmato dalla Redazione Economia con l’assistenza di Carlo Altomonte, professore associato di economics all’Università Bocconi di Milano, dal titolo: “La globalizzazione è morta e il deficit Usa è mostruoso (e Trump vuole salvarsi con una criptovaluta)”. È un pezzo che fonde scenari macroeconomici e trame politiche. L’articolo si divide di fatto in due blocchi distinti.

L’equilibrio spezzato dell’impero americano

Nella prima parte si descrive la crisi dell’ordine globale incentrato sugli Stati Uniti: la globalizzazione non regge più, la Cina è un attore assertivo, la Germania si è chiusa in una logica mercantilista, e l’America – consumatrice seriale – vive da troppo tempo sopra le proprie possibilità.

Il dato chiave che l’articolo propone è impressionante: il passivo della posizione finanziaria netta degli Stati Uniti è passato da 7 a 21 trilioni di dollari in un decennio – un quarto del PIL mondiale. Secondo la lettura proposta, questo squilibrio è strutturale e minaccia la tenuta dell’intero sistema monetario globale.

L’economia americana viene descritta come un colosso che consuma (grazie alla fiducia nel dollaro) ma non investe più, con una base manifatturiera in declino (dal 15% a meno del 10% del PIL), e con un debito pubblico che funge da stampella della domanda globale.

Seconda parte – La criptovaluta come via di fuga

Nella seconda parte, l’articolo vira dal piano analitico a quello propositivo – o meglio: narrativo. Donald Trump, in piena campagna elettorale, affida a Chris Giancarlo, ex presidente della Commodity Futures Trading Commission (CFTC), il compito di esplorare una soluzione radicale: una stablecoin ancorata al dollaro, per affermare l’egemonia americana nel nuovo mondo multipolare e digitale.

Giancarlo, in visita in Italia, incontra banche e stakeholder per presentare il Digital Dollar Project, immaginato come uno strumento per semplificare i pagamenti internazionali, contrastare le monete digitali cinesi e mantenere il primato americano anche nell’era post-globalista.

Il tono del Corriere è neutro, ma permeato da una forma di rispetto implicito per la proposta. Si parla di “arma monetaria” e “rinascita digitale del dollaro” senza mettere in discussione la praticabilità di una moneta lanciata in un contesto politico instabile, iperpolarizzato, e privo di continuità istituzionale.

L’articolo del Corriere della Sera intercetta un nervo scoperto dell’economia globale: la crisi di legittimità del sistema post-Bretton Woods fondato sul dollaro. Ma lo fa attraverso un filtro semplificato, trasformando fenomeni strutturali in una narrazione che – più che interpretare – riduce la complessità a dramma e soluzione. Vediamo, invece, cosa ci restituiscono i dati.

  1. Il deficit USA: più grande del mondo, ma ancora centrale

L’articolo cita il dato corretto: -21 trilioni di dollari è oggi la posizione finanziaria netta negativa degli Stati Uniti (fonte: Bureau of Economic Analysis, Q4 2024). Ma è cruciale capire cosa significa questo numero.

  • Si tratta di circa il 78% del PIL USA, ed è la più ampia posizione debitoria netta del pianeta.
  • Tuttavia, è sostenuta da una struttura finanziaria globale costruita attorno al dominio del dollaro, che rappresenta:
    • Il 58,4% delle riserve valutarie mondiali (IMF, COFER, Q1 2025)
    • L’88% delle transazioni valutarie globali (BIS Triennial FX Survey, 2022)
    • Il 45% del debito sovrano estero emesso (World Bank, 2023)

Gli Stati Uniti, in sostanza, possono permettersi questo debito perché sono l’unico paese al mondo a emettere la moneta globale, con un sistema politico, finanziario e giuridico ancora considerato più sicuro di ogni alternativa. In altri termini: gli USA sono debitori solo perché il mondo continua a credere che lo siano “in modo affidabile”.

  1. L’industria americana non è morta: si è trasformata

L’articolo segnala correttamente che la quota di PIL industriale degli USA è scesa sotto il 10% (dato 2023: 11,3%, Federal Reserve). Ma non sottolinea che:

  • Il valore assoluto della produzione manifatturiera statunitense è in crescita da dieci anni, e nel 2024 ha superato i 2.500 miliardi di dollari (St. Louis Fed).
  • Gli USA restano il secondo produttore industriale al mondo dopo la Cina.
  • Gli investimenti in semiconduttori, aerospazio, difesa e biotech stanno crescendo esponenzialmente grazie all’Inflation Reduction Act e al CHIPS Act (circa $280 miliardi stanziati nel solo 2023-2024).

Il quadro non è di declino assoluto, ma di trasformazione tecnologica e selettiva della base industriale.

  1. La criptovaluta di Stato: tra realtà globale e teatro americano

Il Corriere attribuisce un ruolo quasi salvifico al progetto di stablecoin promosso da Trump e Giancarlo. Ma anche qui, i dati raccontano altro.

  • Il 93% delle banche centrali mondiali sta studiando o testando una forma di CBDC (Central Bank Digital Currency) (fonte: BIS, 2024).
  • Tra le più avanzate:
    • Cina: lo yuan digitale ha superato il miliardo di transazioni registrate, ed è usato in oltre 25 città pilota.
    • India: e-RUPI e e₹ sono già integrati nei principali wallet e banche digitali.
    • UE: la BCE ha avviato la fase pilota dell’euro digitale nell’autunno 2023, con una timeline fino al 2026.
  • Gli USA sono in netto ritardo: la Fed ha pubblicato solo un discussion paper e non ha avviato nessuna sperimentazione pubblica operativa (fonte: Federal Reserve, 2024).

Il Digital Dollar Project di Giancarlo è un’iniziativa privata, senza mandato né riconoscimento formale. Presentarlo come una strategia ufficiale rischia di illudere il lettore: si tratta di un’ipotesi tecnica, non di una svolta monetaria in corso.

  1. La natura performativa della proposta trumpiana

Infine, non si può ignorare il contesto elettorale. L’adozione di una stablecoin da parte di Trump non è frutto di una visione monetaria, ma uno strumento di retorica populista. Serve a:

  • Attaccare la Federal Reserve (già oggetto di critiche da Trump dal 2018).
  • Proporsi come “innovatore anti-establishment”.
  • Legittimarsi come “difensore del dollaro” contro Cina, UE e “élite globaliste”.

Il Corriere, nel riportare questa proposta, non ne evidenzia la natura strategico-politica: ne descrive i tratti tecnici, ma non smaschera il dispositivo comunicativo che la sostiene.

A confutazione – Il Corriere e il linguaggio del potere: la falsità, tre omissioni, un’ambiguità ed una resa intellettuale

Il racconto del Corriere della Sera sulla “fine della globalizzazione” e sulla “salvezza trumpiana in forma di stablecoin” presenta gravi limiti, che possiamo suddividere in: una falsità, tre grandi omissioni, un’ambiguità metodologica, e un cedimento finale di responsabilità culturale.

La falsità

La globalizzazione non è morta, si è evoluta

Il commercio mondiale, secondo i dati WTO, ha continuato a crescere nel 2023, pur con nuove direttrici: meno Cina-USA, più ASEAN, più Sud globale. Le filiere si accorciano, ma non si annullano. La globalizzazione non è più ideologica: è pragmatica, regionale, tecnologica.
Dire che è “morta” è suggestivo, ma analiticamente impreciso. Il commercio mondiale ha raggiunto un valore record di quasi 33 trilioni di dollari nel 2024, con un incremento di circa 1 trilione rispetto all’anno precedente, segnando una crescita annuale del 3,3%.

 Prima omissione: il contesto storico del deficit americano

L’articolo tratta il deficit USA come un evento straordinario, ma ignora che:

  • Gli Stati Uniti sono in disavanzo delle partite correnti quasi ininterrottamente dal 1982.
  • La posizione finanziaria netta negativa si è approfondita ciclicamente, ma sempre in parallelo alla crescita dell’attrattività del dollaro e dei mercati finanziari americani.
  • Il deficit è la condizione sistemica dell’impero monetario, non una sua fragilità accidentale.

Nessun riferimento è fatto al concetto di exorbitant privilege (Eichengreen, 2005) né alle analisi di Krugman o Rogoff sul “debito egemonico”. Questo silenzio toglie al lettore gli strumenti per leggere la struttura, lasciandolo preda della superficie.

Il deficit americano è antico, non nuovo

Gli Stati Uniti vivono da decenni in disavanzo gemello (commerciale e di bilancio). È un tratto genetico del loro sistema, non un’anomalia passeggera. Finché il dollaro resta la valuta di riserva globale, il mondo accetta questo squilibrio.
È vero: il deficit è cresciuto enormemente. Ma il pericolo non è solo contabile, è politico. Se la fiducia nel sistema americano – nelle sue istituzioni, nella sua legalità, nella sua capacità di tenere unito il Paese – si incrina, allora sì, si apre un buco strutturale.

Seconda omissione: la concorrenza internazionale sul digitale

Il Corriere presenta l’idea della stablecoin trumpiana come una mossa audace e pionieristica. Eppure:

  • La Cina testa lo yuan digitale dal 2020.
  • L’India è all’avanguardia nei pagamenti digitali su scala popolare.
  • La BCE, pur più lenta, ha un piano definito per l’euro digitale entro il 2026.
  • La Fed, per ora, non ha aderito a nessuna roadmap ufficiale.

Questa cornice è completamente assente. Si propone una mossa americana come se fosse un’invenzione improvvisa, anziché un tentativo tardivo di rincorsa geopolitica. La criptovaluta trumpiana non è un piano: è uno slogan competitivo lanciato nella mischia.

La criptovaluta trumpiana è fumo e specchio

Una stablecoin federale può sembrare una trovata moderna. Ma in realtà, tutte le principali banche centrali stanno studiando CBDC (Central Bank Digital Currency). La vera domanda è: Trump è credibile come architetto di una moneta digitale? La risposta, per chi conosce il suo stile di governo, è negativa.

Il dollaro digitale richiede fiducia, infrastruttura tecnica, continuità istituzionale. Trump è l’opposto di tutto questo. La “TrumpCoin” rischia di essere una trovata da palcoscenico, più vicina a un’ICO del 2017 che a un progetto monetario del XXI secolo.

Terza omissione: il ruolo delle banche centrali

Nel pezzo, non si distingue mai tra:

  • Stablecoin private (come USDC, Tether)
  • Criptovalute decentralizzate (Bitcoin, Ethereum)
  • CBDC pubbliche (come il digital yuan o l’euro digitale)

Trump propone una stablecoin ibrida, legata al dollaro ma non emessa dalla Fed. Questa confusione tra moneta di Stato e moneta di campagna elettorale non viene mai chiarita, rendendo l’articolo tecnicamente ambiguo, oltre che culturalmente arrendevole.

L’ambiguità: la narrazione del potere travestita da analisi

Il problema più grave non è cosa il Corriere dice, ma il modo in cui lo dice.

  • Il deficit viene presentato come “mostruoso”, ma non viene mai spiegato se e come questo diventi insostenibile.
  • La criptovaluta viene raccontata come “arma monetaria”, senza spiegare chi la dovrebbe impugnare, né con quali regole.
  • Il sistema globale viene dato per collassato, senza evidenza macro né comparazioni.

È un caso da manuale di ciò che potremmo definire “giornalismo di reverenza algoritmica”: si adotta il frame del potere (la crisi, la minaccia, l’uomo forte, la soluzione tecnologica) senza smascherarne la logica, né proporre alternative.

La resa: quando il giornalismo abdica al suo ruolo critico

Ne abbiamo fatto la linea editoriale di Altriorienti da oltre cinque anni. Il Corriere si mostrò pavido negando le evidenze di laboratori di Wuhan e le responsabilità dell’Oms, strizzando gli occhi a Pechino quando era necessario, ed oggi lo troviamo celebrare lo stablecoin di Donald e del suo staff.

Il vero nodo è questo: il Corriere non verifica, non storicizza, non relativizza – crisi, caos, invenzione – elementi con il lessico del possibile. Credendosi “globale” è profondamente provinciale: pensa in dollari, ma scrive con l’accento di chi compiace il potere, ovunque si manifesti, con buona pace di Pier Paolo Pasolini ed i suoi Scritti Corsari (!).

 

È scoppiata l’@merica – conversazione con John Bateman, broker di borsa – Parte II. Il Corriere, la Bocconi e altre disgrazie

Oggi al Bar Bianco ai Giardini Montanelli, a Palestro, Milano ore 11:25.

Lo trovo seduto fuori, col trench spiegazzato e la faccia da interrogatorio fiscale. Fuma una sigaretta storta.
È sobrio, mi sembra.

Gli dico:
“Ho letto l’articolo del Corriere su Trump e la nuova moneta digitale e ti ho scritto cosa ne penso, ma volevo la tua opinione.”
Lui mi guarda come si guarda un citofono rotto.
Poi si alza.
“Andiamo. Ti offro un caffè lungo”

Al Bar Bianco ordina un americano. Senza ghiaccio.

Intorno i bambini biondi e ricchi della borghesia del centro e le tate filippine.
“Perché il ghiaccio è razionale. E questo mondo non lo è più.”

Poi parte. Così, come se avesse un microfono in testa e il mondo fosse il suo cabaret fallito.

“Il Corriere, eh? Quei signorini in redazione col Mac acceso e l’anima spenta.
Hanno appena scoperto che l’America sta andando a puttane.
E come lo raccontano?
Con lo stupore di un vecchio che vede un drone: “Trump lancia una stablecoin! Salverà il dollaro!”

Ma chi la emette, sta cosa?
Chi ci guadagna?
Chi ci fotte?

Non importa. Basta che sembri nuova, moderna, digitale.
Se è americana, dev’essere forte.
Se è di Trump, dev’essere inevitabile.
E il Corriere si inginocchia. Sempre. È la loro posizione naturale davanti al potere: in ginocchio a bocca aperta.”

Beve. Una smorfia. Prosegue.

“Il giornalismo italiano è diventato packaging.
Non racconta, incarta.
Non scava, lucida.
E se non capisce qualcosa, la elogia.
Tipo quella cazzo di criptovaluta disegnata da un broker disoccupato col curriculum su Canva.
E tutti dietro: È il futuro!
Ma il futuro, fratello, non lo decide un algoritmo del Delaware.
Lo decidono i rapporti di forza e le mani sporche di merda”

Poi si ferma. Sorride.

“Trump, ovunque metta le mani, porta merda.

Ha fatto fallire più roba lui di una guerra commerciale.

– Trump Airlines: fallita. Aerei ipotecati, hostess in lacrime.
– Trump Steaks: fallite. Le bistecche, Cristo santo.
– Trump Vodka: ritirata dal mercato. Neanche i russi la volevano gratis.
– Trump University: chiusa, rimborsi, cause. Una truffa da fiera di paese.
– Trump Taj Mahal Casino: fallito. Un casino che fallisce, capisci? Serve talento.
– E poi Trump Magazine, Trump Mortgage, Trump Ice…
tutta roba finita in una discarica emotiva nel New Jersey.”

Bateman si piega in avanti, raccoglie e lancia un pallone che gli è finito tra i piedi.

“E adesso mi tocca leggere sul Corriere che questo stronzo salverà il dollaro.
Con un’app.
Con un tweet.
Con la fiducia del mercato.

Ma chi ci crede?
Chi ci vuole credere, ecco chi.
Perché fa comodo.
Fa contenti gli idioti e paga le consulenze.”

Pausa. Si accende una sigaretta.

“È vietato, ma la Milano di Salah non è Singapore … tante chiacchiere e zero risultati

Una vera città mediorientale che si dice Svizzera”

Ride. Un ghigno.

“C’è la Bocconi.
Il Vaticano dei PowerPoint.
Un tempio dell’expertise in leasing.
Basta un professore in camicia azzurra che dice “equilibrio globale rotto” e la cazzata diventa dottrina.
Altro che pensiero critico, pare una canzone di Domingo Cavallo, il ministro argentino. Stesse cazzate monetarie ma senza tango platense.
Gioca a Risiko con le slide.
Ti spiegano che il dollaro è debole per via del debito, ma si dimenticano che è proprio quel debito che tiene in piedi l’intero cazzo di sistema.
Ti parlano della “fine della globalizzazione”, poi vanno a lezione su Zoom e incassano fondi europei.
Non è analisi, è stand-up comedy da Letterman”

Fa un gesto con la mano, come a spazzare via l’aria.

“Il Corriere non pensa.
La Bocconi non pensa.
Pensano che pensare sia branding.
Che basti parlare in inglese per avere ragione.
E intanto la città affonda”

Si alza. Il bicchiere è vuoto. L’Italia pure, un po’.

“Se ci vogliono vendere Trump come un economista,
una stablecoin come un piano Marshall,
ed il Corriere come chi ti spega il mondo

Non è scoppiata solo l’@merica.
È scoppiata Milano.
E noi ci viviamo dentro come se niente fosse.”

“La Bocconi si fotta. Vale meno di una bottiglietta d’acqua aperta.
Forma servi. Ma almeno sono cresciuti bilingui.”

Sghignazza, l’americano ha fatto il suo mestiere,

Ora puzza di alcool, tossisce … “Andiamo via”.

Si gira, si alza e si chiude.

11 maggio

 

Dati

Commercio Globale nel 2024: Crescita e Tendenze

Crescita Complessiva

  • Valore Totale degli Scambi: Il commercio mondiale ha raggiunto un valore record di quasi 33 trilioni di dollari nel 2024, con un incremento di circa 1 trilione rispetto all’anno precedente, segnando una crescita annuale del 3,3%. UN Trade and Development (UNCTAD)

  • Beni vs. Servizi: Gli scambi di beni hanno registrato una crescita del 2%, rimanendo al di sotto del picco del 2022. Al contrario, il commercio di servizi ha mostrato una performance più robusta, con un aumento del 7%, contribuendo per 500 miliardi di dollari all’espansione complessiva. UN Trade and Development (UNCTAD)

Distribuzione Geografica

  • Paesi Sviluppati: Nel terzo trimestre del 2024, le economie sviluppate hanno guidato la crescita del commercio globale, sostenute da una domanda stabile e condizioni economiche favorevoli. Le importazioni per questo gruppo sono cresciute del 3%, mentre le esportazioni hanno registrato un aumento del 2%. UN Trade and Development (UNCTAD)

  • Unione Europea: Le esportazioni agroalimentari dell’UE hanno raggiunto livelli record, totalizzando 21,7 miliardi di euro in ottobre 2024, con un incremento dell’8% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Agriculture and rural development

Prospettive e Rischi

  • Previsioni WTO: L’Organizzazione Mondiale del Commercio ha leggermente aumentato la sua previsione di crescita per il commercio di beni nel 2024 al 2,7%, rispetto al 2,6% stimato in precedenza. Tuttavia, ha ridotto la previsione per il 2025 dal 3,3% al 3%, citando tensioni geopolitiche e incertezze economiche come rischi significativi. AP News

Debito Pubblico USA nel 2025

  • Totale del debito federale: Secondo il Congressional Budget Office (CBO), nel 2025 il debito federale degli Stati Uniti è stimato al 100% del PIL. New York Post

  • Debito detenuto dal pubblico: La porzione di debito detenuta dal pubblico rappresenta una parte significativa del totale e contribuisce in modo sostanziale al rapporto debito/PIL.Info Data+1Key4biz+1


Proiezioni Future

  • Aumento previsto: Il CBO prevede che, mantenendo le attuali politiche fiscali, il rapporto debito/PIL possa aumentare fino al 118% entro il 2035. Bipartisan Policy Center

  • Fattori contributivi: Questo incremento è attribuito principalmente alla crescita della spesa obbligatoria, come quella per la sicurezza sociale e Medicare, e all’aumento dei costi per il servizio del debito.


Implicazioni Economiche

  • Costi degli interessi: Nel 2025, i costi per il servizio del debito sono stimati in $952 miliardi, rappresentando circa il 3,2% del PIL. Peterson Foundation

  • Sostenibilità fiscale: Il crescente rapporto debito/PIL solleva preoccupazioni sulla sostenibilità fiscale a lungo termine, potenzialmente limitando la capacità del governo di rispondere efficacemente a future crisi economiche.

 

L’autore dell’articolo del Corriere della Sera è la redazione economica. Una ricerca on-line ci suggerisce questa composizione salvo errori ed omissioni.

Ecco alcuni dei principali membri:

Daniele Manca

Vicedirettore del Corriere della Sera dal 2009, Daniele Manca ha guidato la redazione economica e ha promosso la trasformazione digitale del quotidiano. È ideatore di eventi come “Pact for Future” e “RiGenerazioni” .Wikipedia

Giornalisti ed editorialisti

  • Dario Di Vico: Editorialista e inviato speciale, ha ricoperto il ruolo di vicedirettore e si occupa di economia e lavoro .

  • Elena Comelli: Giornalista specializzata in energia, ambiente e innovazione tecnologica, collabora con il Corriere della Sera e altre testate .

  • Fabrizio Dragosei: Corrispondente da Mosca, ha guidato per dieci anni la redazione economica a Roma e si occupa di economia internazionale .

  • Marcello Messori: Economista e professore, è editorialista per il Corriere della Sera e si occupa di economia europea .WikipediaWikipediaWikipedia

L’articolo ha poi avuto l’assistenza di:

Carlo Altomonte che è Professore Associato di Economia presso l’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano, Associate Dean for Stakeholder Engagement Programs presso la SDA Bocconi School of Management, dove dirige anche il PNRR Lab. È anche Vicepresidente e Senior Associate Research Fellow presso l’ISPI e Non-Resident Fellow presso il think tank europeo Bruegel.

 

John Bateman è un importante broker di borsa americano residente a Milano per ragioni fiscali.

 

©2025 - Altriorienti - Accesso amministratori - Questo sito non raccoglie informazioni personali e non usa cookies

Log in with your credentials

Forgot your details?