“Se mai ti buttano giù da un balcone… apri le braccia. Proprio così, tipo crocifisso. È tutto lì. Aumenti la superficie e rallenti la velocità. Potresti salvarci la pelle, capisci?”
Il farang che parla ha i capelli bianchi raccolti in una coda, una birra Chang calda davanti e l’alito che odora di whisky di riso locale. È inglese, vive qui da almeno dieci anni, e probabilmente ha dimenticato anche il perché. È l’ora di mezzo, quella tra il tramonto e il karaoke. Il bar è in una laterale della Sukhumvit e da fuori arrivano le luci dei motorini e delle insegne. Io ascolto, italiano, con quel misto di curiosità e cautela che si riserva agli ubriachi eloquenti.
Il farang inglese continua:
“Lo so, sembra assurdo. Ma tu guarda i dati. Hai idea di quanto ci metti a raggiungere i 100 all’ora in caduta libera? Pochi secondi. E dopo… boom.”
Mi mostra una pagina stropicciata di quaderno. Ha scritto a penna, con calligrafia infantile, una tabella:
Tempo (s)
|
Spazio (m)
|
Velocità (km/h)
|
---|---|---|
1
|
4,9
|
35
|
2
|
19,6
|
70
|
3
|
44,1
|
106
|
4
|
78,5
|
141
|
5
|
122,6
|
177
|
“Se resisti 3 secondi, sei già a 100 all’ora. Ma la resistenza dell’aria ti frena. Dipende tutto da quanto sei largo, se hai l’accappatoio aperto, se ti agiti. Ti faccio l’equazione?”
Paul — così si è presentato, ma non so se credergli — non aspetta risposta.
“R uguale 0,55 per S per V al quadrato. R è la resistenza, S è la tua superficie trasversale, V la velocità. Quando R = Peso, cioè m per g, hai raggiunto la velocità limite. Per un uomo di 80 chili, vestito normale, sei a 200 all’ora. Ma se apri braccia e gambe, arrivi a 100. Se ti prende un albero, o un tetto spiovente, o un mucchio di sabbia… magari sopravvivi.”
Sembra ubriaco, ma parla come un professore. Cita Alan Magee, caduto da 6.700 metri senza paracadute, sopravvissuto sfondando la vetrata di una stazione. Cita Nick Alkemade, che cadde da 5.600 metri su un mucchio di fieno. “I tedeschi gli fecero un diploma. Glielo giuro.” Ride. E beve.
Poi cambia tono, serio all’improvviso:
“Lo sai quanti cadono dai balconi qui a Bangkok, o a Pattaya? Tanti. Troppi. Si ubriacano. Vengono drogati. Vengono spinti. E poi… niente testimoni. Nessuno ha visto nulla. È successo anche a un mio amico. Era all’ottavo piano. Aveva litigato con una ragazza la sera prima. Il giorno dopo era nel cortile.”
Mi guarda con un’espressione spaventosamente lucida:
“Sai cosa ho imparato io? Mai portare una donna in albergo o nel tuo appartamento, mai passare la notte con lei, mai illudersi che sia vero perchè a guardarmi faccio schifo ed il mio ventre espode dei lieviti del gas della birra. Ti sembro attraente? Perchè mai qualcuno dovrebbe seguire un uomo tanto disgustoso. Quando entro in camera, controllo se c’è il balcone, anche se sono solo e Dio sa che sono solo. Se c’è, dormo con la porta chiusa e la sedia contro. Prenoto sempre al primo o al secondo piano. Se cado, almeno non muoio. La mia è un’ossessione, non sono così pazzo da non rendermene conto, ma è Bangkok.”
E poi chiude, definitivo: “Qui in Thailandia non è che muori sempre. Ma se cadi, nessuno ti raccoglie, nessuna ha pietà di noi farang … no money no honey.”
Sorride.
Corpi che cadono, identità che svaniscono. Nei registri della polizia thailandese si accumulano da anni casi dai contorni sfumati: uomini occidentali – europei, americani, australiani – trovati morti in camere d’albergo, precipitati da balconi, affogati in piscine vuote. Ufficialmente si parla di suicidi, malori, fatalità. Ufficiosamente, si tace. Eppure, chi vive davvero in Asia – non nei resort, ma nella zona grigia tra il sogno e la deriva – conosce bene questa storia.
Il mistero non è tanto nelle morti, ma nella rimozione. La stampa locale tende a trattare queste notizie con distacco burocratico. La polizia archivia rapidamente. I consolati occidentali, spesso impotenti o compromessi da anni di consuetudine diplomatica, si limitano a esprimere cordoglio. E le famiglie, lontane, possono solo piangere in silenzio un figlio, un fratello, un padre che aveva deciso di “cambiare vita” a queste latitudini .
Ma cosa si cela dietro questi eventi?
Molti degli uomini che arrivano in Thailandia lo fanno per cercare sollievo da un’Europa che li ha espulsi, deluso o dimenticati. La pensione non basta, l’affetto è evaporato, il corpo è ancora in cerca di calore, l’amore proprio cerca un risarcimento al tempo che passa ed al corpo che invecchia. Si ritrovano così a pattugliare allucinati i margini di Pattaya, Patong, Sukhumvit e Silom. Alcuni si innamorano di giovani donne che, dietro un sorriso, nascondono il peso di una sopravvivenza agra. Altri si perdono nel gioco, nell’alcol, in un’illusione di controllo che cede improvvisamente.
Il crimine è sottile, silenzioso, pratico. Ci sono gang locali – non sempre riconoscibili, spesso femminili, apparentemente ingenue – che hanno imparato tutto: come conquistare la fiducia in un bar, come entrare in una stanza, come mescolare un sonnifero nel gin tonic. Il furto è metodico: cellulare, contanti, carte, passaporto. L’uomo dorme. Se non si sveglia, poco male. Nessuno farà troppe domande. Se si sveglia, può precipitare – dal panico, dalla confusione, o da un gesto impulsivo.
C’è una memoria cinematografica e seriale che ha preparato il nostro sguardo. The Serpent, su Netflix, raccontava il volto magnetico e velenoso di Charles Sobhraj, predatore colto e glaciale che, negli anni ’70, viveva a Bangkok ed uccideva turisti lungo la rotta mistica per Katmandu. Il crimine, allora, era una danza seducente tra passaporti falsi, yoga, e LSD. La spiritualità come trappola e l’Oriente come specchio deformante.
Eppure, non è solo la crudeltà che colpisce. È l’ambiguità. L’Oriente, prima di ucciderti, ti avvolge. Ti abbraccia in una notte umida di Bangkok, ti stordisce con incensi, spezie, promesse e corpi. E quando ti svegli – se ti svegli – non sei più lo stesso. Non capisci dove sei, né chi eri.
Lawrence Osborne, nel suo Bangkok Days, ha dato forse la descrizione più sobria e precisa di questa umanità in dissoluzione: una comunità fluttuante di uomini bianchi, sfuggiti al proprio Paese, alle leggi, alle ex mogli, alla mediocrità. “Un’armata di fantasmi con la pelle chiara e il portafoglio vuoto”, scrive. Vivono in piccoli hotel, con le luci al neon che filtrano attraverso le tende, tra bottiglie di whisky locale, amori a pagamento, e una sensazione permanente di irrealtà. Chi non lo ha letto lo faccia, lo ha pubblicato Adelphi e spenderà bene venti euro, chi scrive invece, Lawrence Osborne lo ha conosciuto davvero. Anni fa viveva in un condominio discreto, in una di quelle vie laterali della Sukhumvit 23, verso Makkasan, dove il traffico è meno spaventoso e all’ingresso c’è un grande albero del pane che ombreggiava le prime ore del pomeriggio. Era possibile incontrarlo, ogni tanto, in qualche pub della zona. Non so se Lawrence viva ancora lì, lo segnalano in Giappone e poi negli Stati Uniti dove scrive sceneggiature per Netflix delle sue opere, io ho riconosciuto a “Java Road“, il premio per il miglior libro di Altriorienti nel 2023. Glielo comunicai via messanger, mi ringraziò e volle leggere la mia recensione, la trovava diversa da tante altre. Gliene sono grato, oggi come allora. Sono felice del suo attuale successo, meglio per lui ed il suo portafoglio. Non ho mai pensato che fosse uno degli scannati di cui parlava nei suoi libri thailandese, ma li frequentava di certo e dava loro voce. Parlare con lui, anche solo per qualche minuto, confermava una cosa: la sua Bangkok non è una città, ma uno stato mentale. Non aveva bisogno di inventare niente. Gli bastava raccontare quello che vedeva.
Io ricordo un uomo che era stato professore di filosofia in Germania e viveva con una pensione minima in un quartiere popolare di Bangkok. Passava le giornate a zonzo e la sera frequentava sempre lo stesso karaoke bar. Una notte è stato trovato in coma: aveva bevuto con la persona sbagliata. La polizia ha chiuso il caso in dodici ore. Furto con droga. Nessun arresto. Un altro, ex agente di viaggi olandese, si è buttato da un balcone all’ottavo piano di un condhotel a Pattaya. La notte prima aveva litigato con una donna che conosceva da quattro giorni. Il suo passaporto è stato ritrovato a Koh Samui due settimane dopo, nelle mani di un uomo che cercava di usarlo per lasciare il paese. Questi miei ricordi non sono casi isolati, sono storie comune ed uguali. Una sceneggiatura collettiva fatta di promesse non mantenute, e di illusioni vendute a buon prezzo. Sono uomini in cerca di sollievo, ma trovano un’Asia che non consola: seduce e sfrutta, dimentica e schianta.
Non si cade per caso, in Thailandia si cade spesso. Dai balconi, dalle finestre degli hotel, dai condhotel economici affacciati su cortili invisibili. Si cade nell’aria umida e tossica del sud-est asiatico come in una formula ricorrente, come in un destino firmato a penna da qualcuno che nessuno ha mai incontrato.
I giornali la chiamano fatalità, i rapporti di polizia suicidio, noi e gli expat con humour nero parlano di balcon-air. Ma il fenomeno esiste, si ripete, si moltiplica. E si conta. Nel 2015, un conteggio informale registrava 32 stranieri morti per cadute dai piani alti. Di questi, 17 a Bangkok e 9 a Pattaya.
Nel primo semestre del 2024, sempre a Pattaya, 36 morti tra stranieri, la maggior parte per caduta da edifici.
Nel solo mese di giugno, quattro uomini caduti nel giro di due settimane. Diversi hotel, stesso risultato, mai un testimone, mai un colpevole.
Non sono solo numeri, ma persone vive e perdute. Quest’anno ricordo di aver letto del caso di Mark che aveva 57 anni ed era britannico. È scomparso a Bangkok credo abbia perso il volo per tornare a casa. Lo hanno ritrovato morto, due settimane dopo in una guesthouse economica sul suo letto.
Morire precipitando ha però una dimensione elegiaca. Non è la caduta che uccide, è ciò che viene prima: l’attesa vana, il disorientamento, l’assenza di rete, la trappola seduttiva. Chi cade non sempre voleva morire. Ma non aveva più presa. La finestra come soglia, il balcone come confessionale. A pensarci ogni camera d’albergo si affaccia sul vuoto e vertigine. È lì che il turista occidentale – pensionato, vedovo, disilluso, scannato, amante occasionale – incontra la propria versione disarmata. Lì capisce che l’Asia non è il luogo della rinascita, ma un enorme specchio convesso dove i sogni rifratti tornano indietro distorti.
Cosa resta, alla fine, di questi viaggiatori caduti? Un nome sul passaporto, un corpo all’obitorio, una breve nota su un giornale in lingua inglese. E un’altra riga nei verbali della polizia turistica. Non più l’illusione, ma la constatazione che la Thailandia non ti salva.
7 aprile

Farang (in thailandese ฝรั่ง, Farang, comunemente falang ) è anche il termine thailandese che viene usato per indicare le persone di pelle chiara, indipendentemente da quale sia la loro origine. Nel 1999 il Royal Institute Dictionary, il dizionario ufficiale delle parole thailandesi, definisce la parola “persona di razza bianca”. Ciò è iniziato durante la guerra del Vietnam, quando le forze armate degli Stati Uniti hanno mantenuto delle basi in Thailandia.
Fonte Wikipedia

Lawrence Osborne
Brevi dalla cronaca:
A British dual national was arrested for allegedly murdering a Japanese tourist in Thailand. The Brit, David Maensiri, 36, was said to be having a row with his girlfriend when Japanese passer-by Seita Tanabe, 27, tried to intervene. However, David allegedly turned his fury on the well-meaning holidaymaker, sparking a punch-up in Thai 'Sin City' Pattaya on December 29. The suspect …
www.newsflare.com
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With some regularity there are reports that a foreigner has fallen from his balcony in Thailand. Now so often that there is a ‘fishy’ to these incidents, writes Khaosod in an article with the striking headline: ‘The Balcony Did It? Why Thailand’s Falling Deaths Raise Eyebrows’.
www.thailandblog.nl
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PATTAYA — When Unto Kilvonen’s body was found 10 floors below a Jomtien Beach condo, it didn’t take long for speculation to mount.
www.khaosodenglish.com
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AN AMERICAN man fell to his death from the seventh floor of a hotel in Pattaya early this morning (June 4) while a Russian man plunged to his death from the 29th floor of a 35-storey condo at noon yesterday, TV Channel 7 and Amarin TV said.
thainewsroom.com
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A British pensioner died in a fall from a fourth-floor hotel balcony in Thailand in the early hours of Sunday morning. Martin Upton, 69, plunged from his room and landed in a narrow alley next to the hotel building in Pattaya at around 2 am on February 4. Police and medics arrived at the scene and found the shirtless man conscious but unable to speak. They rushed him to the Bang Lamung …
www.newsflare.com
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Pattaya — A 57-year-old German tourist has died after falling from the 33rd floor of a five-star hotel in Pattaya. The tourist landed on the ground floor of a shopping mall below, shocking people. The incident occurred on June 5th, 2024, at around 10:06 PM. Pattaya police and rescue workers rushed to the incident scene […]
thepattayanews.com
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PATTAYA, Thailand – A German tourist tragically fell to his death from a five-star hotel along Pattaya Beach. The incident occurred near the entrance of an adjacent shopping mall. Hotel staff quickly responded by setting up metal barriers approximately 10 meters from where 57-year-old Martin Bernhard Roder’s body was found and covered the area with […]
www.pattayamail.com
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Russian man survives 8th-floor jump in Pattaya after a suicide attempt. Previously a suspect in his girlfriend’s fatal fall from a 7th-floor Jomtien condo in 2023. Police and emergency services rescued him after a tense standoff.
www.thaiexaminer.com
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